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Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 24/04/2008

Foto: Luigino Bracci
A Caracas, nell’ultima settimana di marzo, si sono svolti contemporaneamente due incontri di significato diametralmente opposto e che hanno avuto come tema centrale la libertà di stampa e l’influenza che i media hanno nella vita sociale e politica dell’America Latina.
Si è tenuta infatti sia la riunione semestrale della Sociedad Interamericana de Prensa (SIP), che raggruppa editori e rappresentanti dei maggiori mezzi di comunicazione degli Stati Uniti e dell’ America Latina, fortemente critica con i governi progressisti della regione, e particolarmente con quello venezuelano, sia il primo convegno “latinoamericano contro il terrorismo mediatico” che questi governi subiscono da parte dei mezzi privati di comunicazione in un contesto più ampio di strategia al servizio delle grandi potenze e dei poteri economici organizzato dal Foro Latinoamericano e dall’Agenzia Bolivariana de Noticias (ABP) al quale hanno partecipato operatori della comunicazione e giornalisti di oltre 14 paesi.
La Sociedad Interamericana de Prensa, “il braccio giornalistico del governo americano” come la definisce il giornalista cileno e segretario esecutivo della Federación Latinoamericana de Periodistas (FELAP), Ernesto Carmona, ha ovviamente denunciato in questa riunione, come fa da tempo ormai, le presunte violazioni alla libertà di stampa commesse da parte del governo di Hugo Chávez.
Un paradosso, come lo stesso Chávez ha tenuto a sottolinerare: “condannano il Venezuela per le violazioni della libertà d’espressione dalla stessa Caracas dove affermano che si vive sotto dittatura”.
Ricordiamo che la stessa SIP lo scorso anno, consegnò il Premio alla libertà di Stampa , a Marcel Granier, l’imprenditore venezuelano proprietario dell’emittente RCTV alla quale il Venezuela non rinnovò la licenza alla sua scadenza e che ebbe parte attiva nel golpe dell’aprile 2002 contro il presidente Chávez.
Il quarto potere è esercitato dagli Stati Uniti e dalle grandi multinazionali che controllano i mezzi di comunicazione in America latina proprio attraverso la Sociedad Interamericana de Prensa alla quale sono legati gruppi oligarchici della regione che a loro volta controllano la stampa nei loro rispettivi paesi.
Come riferisce Ernesto Carmona, “uno sguardo ai nomi che compongono il direttivo della SIP” semplifica la comprensione di quanto sopra affermato.
La direzione amministrativa della società è in mano a sette persone, di cui cinque sono proprietari di quotidiani statunitensi e solo due sono latinoamericani, dei quali uno, il direttore esecutivo, con scarsa voce in capitolo è un cileno, Julio Muñoz Mellado, l’altro, che invece occupa la vicepresidenza della SIP, è un nome noto. Si tratta infatti del colombiano Enrique Santos Calderón . La sua famiglia, oltre ad essere proprietaria di El Tiempo, il quotidiano più diffuso in Colombia, ha due rappresentanti anche nel governo, che sono Francisco Santos Calderón, cugino di Enrique e Juan Manuel Santos Calderón, il fratello di Enrique , rispettivamente vicepresidente e ministro della Difesa del paese.
La Sociedad Interamericana de Prensa, si avvale nella regione dell’appoggio di gruppi locali imprenditoriali, legati al mondo della comunicazione, spesso vincolati alla destra più conservatrice e reazionaria dei singoli paesi, la quale a sua volta mantiene stretti legami con la destra europea, particolarmente quella spagnola.
Il caso di Marcel Granier è emblematico in questo senso. Può ancora nel suo paese, in Venezuela, dove ha apertamente appoggiato un colpo di Stato, applicando tecniche di terrorismo mediatico dalla sua emittente RCTV, prendere parte alle riunioni della SIP dove esprimere quanto appreso al convegno dei neo-con ultraliberisti che si era tenuto qualche giorno prima a Rosario in Argentina presieduto da Mario Vargas Llosa e dove hanno preso parte ovviamente José María Aznar e quasi tutti gli ex presidenti latinoamericani legati alla destra e al neo-liberismo, dal messicano Vicente Fox al salvadoreño Francisco Flores, dall’ecuadoriano Osvaldo Hurtado al boliviano Jorge “Tuto” Quiroga.
Contro il terrorismo mediatico, portato avanti dalla SIP in America Latina, secondo questa direttrice che, dagli Stati Uniti non casualmente passa attraverso la famiglia Santos e quindi la Colombia, ha avuto grande successo a Caracas, nel Centro de Estudios Latinoamericanos Rómulo Gallegos (Celarg), ad appena un isolato di distanza dal grande Hotel Caracas Palace, dove era riunita la SIP, la denuncia che è stata fatta contro quello che Freddy Fernández direttore di ABN ha definito “l’uso dei mezzi di comunicazione come armi politiche contro alcuni governi della regione”. Una denuncia quindi, contro il tentativo, da parte di potenti gruppi economici e finanziari, di destabilizzare, nella logica di un conflitto a bassa intensità, i governi dei paesi che si stanno lentamente affrancando dal dominio economico, politico e militare del Nord.
Nella Dichiarazione di Caracas che è scaturita da questa denuncia, viene chiesto a tutti i capi di Stato dell’America Latina e dei Caraibi di includere il tema del terrorismo mediatico nei vertici internazionali, dal momento che, è segnalato nel testo “il terrorismo mediatico è la prima espressione e condizione necessaria del terrorismo militare ed economico che il Nord industrializzato utilizza per imporre all’Umanità la sua egemonia imperiale e il suo dominio neocoloniale”.
La condanna, oltre che alla Sociedad Interamericana de Prensa è stata estesa anche a quei gruppi come Reporter senza frontiere che “rispondono ai dettami di Washington nella falsificazione della realtà e nella diffamazione globalizzata” (e che ammette apertamente di essere finanziata dal governo statunitense a questo scopo) ma anche però all’Unione Europea, che compie questo ruolo rispondendo a vecchie alleanze e nuove egemonie economiche nella regione.
Noi giornalisti, comunicatori, studenti di comunicazione
dell’America latina, Caribe e Canada, riuniti a Caracas in questo primo incontro
latinoamericano contro il terrorismo mediatico, denunciamo l’uso della
manipolazione da parte delle multinazionali dell’informazione attuata come un’aggressione imponente e permanente verso i popoli ed i governi che lottano per la pace, la giustizia e l’integrazione.
Il terrorismo mediatico e’ la prima espressione e condizione
necessaria del terrorismo militare ed economico che il Nord industrializzato
impiega per imporre all’Umanità’ la sua egemonia imperiale e il suo
dominio neocoloniale. Come tale e’ nemico della libertà, della democrazia
e della società aperta e deve essere considerato come la peste delle
cultura contemporanea.
A livello regionale, il terrorismo mediatico, utilizzato come arma
politica al fine di rovesciare governi democratici di paesi come
Guatemala, Argentina, Cile Brasile, Panama, Grenada, Haiti, Perù, Bolivia,
Rep. Dominicana, Ecuador, Uruguay e Venezuela, e’ utilizzato oggi, per
sabotare qualsiasi possibilità di accordo umanitario, o soluzione
politica del conflitto colombiano e per regionalizzare la guerra nella zona
andina.
L’attuale lotta democratica in Ecuador, Bolivia e Nicaragua, insieme
a Brasile, Argentina ed Uruguay e Messico, conferma la volontà
politica delle nostre società di sbarazzarci dell’aggressiva e simultanea
campagna di diffamazione delle multinazionali dell’informazione e della (Sociedad Interamericana de Prensa) SIP. Cuba e Venezuela rappresentano
chiaramente i bersagli principali di questa battaglia ancora aperta. Siamo
inoltre obbligati a rinnovare i nostri sforzi davanti alla drammatica
situazione che attraversa il giornalismo democratico in Peru’, Colombia
ed altre nazioni.
Questo Incontro Latinoamericano ha mostrato la necessità di creare la
Piattaforma Internazionale contro il Terrorismo Mediatico che convoca
ad un nuovo incontro, da realizzarsi entro due mesi, al quale parteciperà insieme ad altre organizzazioni come la Federación Latinoamericana de Periodistas (FELAP), che con la crescita delle coscienze dei popoli latinoamericani e del Caribe ha difeso in maniera esemplare il diritto alla verità e al motto che incarna i suoi principi: per un giornalismo libero in libere patrie.
Impegnata a criminalizzare tutte le forme di lotta e resistenza dei
popoli, con il pretesto di una fallace nozione di sicurezza,
l’amministrazione fondamentalista di G.W. Bush si e’ resa responsabile della
sistematica aggressione terrorista degli ultimi anni contro i mezzi di
comunicazione alternativi, popolari e comunitari, compreso alcuni
imprenditoriali.
L’informazione non e’ una merce. Come la salute e l’educazione,
l’informazione e’ un diritto fondamentale dei popoli e deve essere oggetto
di politiche pubbliche permanenti.
Convinti che questa storia e’ iniziata 200 anni fa’, rinnoviamo
l’impegno di coloro che ci hanno preceduti con il proposito di
adeguarci all’esercizio etico della nostra professione, aderenti ai valori
della democrazia reale ed effettiva ed alla veridicità che merita la differenza di pensieri, credenze e culture.
Non solo la SIP, ma anche gruppi come RSF, Reporters Senza
Frontiere, rispondono alle direttive di Washington nel falsificare la realtà e la
diffamazione globalizzata. In questo contesto, l’Unione Europea svolge un ruolo
vergognoso che contraddice l’eroica lotta dei suoi popoli contro il
nazifascismo.
Nella forgia dell’unita’ dei popoli latinoamericani e caraibici, i
firmatari di questa dichiarazione chiamano i professori e gli studenti
di comunicazione sociale a considerare il Terrorismo Mediatico come
uno dei problemi centrali dell’Umanità. Convochiamo i giornalisti
liberi ad impegnarsi, ad impegnarsi a rinnovare i loro sforzi nella costruzione della
pace, lo sviluppo integrale e la giustizia sociale.
Con questo spirito esortiamo tutti i capi di Stato
dell’America latina e dei Caraibi ad includere il tema del Terrorismo Mediatico, in
tutti le riunioni e fori internazionali.
(Traduzione di Ciro Brescia)
Il presidente Álvaro Uribe ha ammesso ieri di essere oggetto di indagini per il suo coinvolgimento diretto in un massacro compiuto da paramilitari, che sarebbe avvenuto nel 1997 quando egli era governatore del dipartimento di Antioquia.
Nella località di El Aro, in sei giorni vennero assasinate e torturate 15 persone, distrutte 43 abitazioni, violentate donne e spinte all’esodo circa 800 persone della zona.
Le indagini sarebbero state avviate in seguito alla confessione di un testimone che lo accusa di aver preso parte ad una riunione alla quale erano presenti tra gli altri il generale Ospina, il generale Rosso e il capo paramilitare Salvatore Mancuso, riunione che aveva lo scopo di pianificare e organizzare il massacro.
Uribe, secondo il testimone, un ex paramilitare, avrebbe anche ringraziato personalmente gli autori materiali del massacro perchè nell’occasione riuscirono a liberare anche sei sequestrati tra i quali un suo cugino e che il fratello del presidente, Santiago Uribe, avrebbe “prestato” 20 paramilitari per compiere quel crimine.
Questa notizia giunge appena dopo l’arresto del cugino del presidente Uribe, Mario Uribe Escobar, in carcere oggi per vincoli con il paramilitarismo e nel momento in cui circa 30 parlamentari del congresso si trovano in carcere e una settantina sono inquisiti.
Ad essi si aggiunge adesso il Presidente in persona.
Si rende pertanto sempre più necessaria nel paese, come chiesta a gran voce in questi giorni dalle associazioni, dai movimenti sociali e dalle forze politiche di opposizione, in particolare dal Polo Democrático Alternativo, una Assemblea Costituente, con il fine di “rilegittimare le istituzioni del paese”.
Il presidente Uribe, ovviamente respinge tutte le accuse come prive di fondamento e nega la possibilità di convocare l’Assemblea Costituente.
Resta l’ipotesi delle elezioni anticipate ma è sempre più evidente che la Colombia potrebbe trovarsi ad una svolta decisiva per ristabilire la democrazia perduta tra massacri e fosse comuni.
Fotografie del 24/04/2008
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