Il presidente Álvaro Uribe ha ammesso ieri di essere oggetto di indagini per il suo coinvolgimento diretto in un massacro compiuto da paramilitari, che sarebbe avvenuto nel 1997 quando egli era governatore del dipartimento di Antioquia.
Nella località di El Aro, in sei giorni vennero assasinate e torturate 15 persone, distrutte 43 abitazioni, violentate donne e spinte all’esodo circa 800 persone della zona.
Le indagini sarebbero state avviate in seguito alla confessione di un testimone che lo accusa di aver preso parte ad una riunione alla quale erano presenti tra gli altri il generale Ospina, il generale Rosso e il capo paramilitare Salvatore Mancuso, riunione che aveva lo scopo di pianificare e organizzare il massacro.
Uribe, secondo il testimone, un ex paramilitare, avrebbe anche ringraziato personalmente gli autori materiali del massacro perchè nell’occasione riuscirono a liberare anche sei sequestrati tra i quali un suo cugino e che il fratello del presidente, Santiago Uribe, avrebbe “prestato” 20 paramilitari per compiere quel crimine.
Questa notizia giunge appena dopo l’arresto del cugino del presidente Uribe, Mario Uribe Escobar, in carcere oggi per vincoli con il paramilitarismo e nel momento in cui circa 30 parlamentari del congresso si trovano in carcere e una settantina sono inquisiti.
Ad essi si aggiunge adesso il Presidente in persona.
Si rende pertanto sempre più necessaria nel paese, come chiesta a gran voce in questi giorni dalle associazioni, dai movimenti sociali e dalle forze politiche di opposizione, in particolare dal Polo Democrático Alternativo, una Assemblea Costituente, con il fine di “rilegittimare le istituzioni del paese”.
Il presidente Uribe, ovviamente respinge tutte le accuse come prive di fondamento e nega la possibilità di convocare l’Assemblea Costituente.
Resta l’ipotesi delle elezioni anticipate ma è sempre più evidente che la Colombia potrebbe trovarsi ad una svolta decisiva per ristabilire la democrazia perduta tra massacri e fosse comuni.