Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Publico la carta amarga pero llena de esperanza y entusiasmo recibida por la amiga Monique de Oaxaca , México. Hemos decidido juntas de tener como un diario méxicano que se enriquecerá con sus noticias, informes, fotos, además de sensaciones por lo que está ocurriendo en su país. Las dos creemos en la verdad y en la justicia y lo que más necessita ahora todo México y los hermanos méxicanos son propio verdad y justicia. Mañana, 20 de novembre es un día importante para el paIs, en el zócalo de Ciudad de México se reunirán más de 4 millones de personas (según los organizadores) por el juramento del presidente legítimo “el peje” Andrés Manuel López Obrador. Hay expectativa pero también entusiasmo. Monique estará allá y pronto nos enviará noticias más detalladas.
AGUANTA QUE EL PUEBLO SE LEVANTA!
Annalisa:
Con gusto recibo tu mensaje. Sí, te enviaré información, fotos y sentires de la toma del presidente legítimo de México: Andrés Manuel López Obrador.
Existe expectativa de lo qué sucederá ese día, pues, ... Continua a leggere...
Traendo spunto dal ricatto “armato” del senatore De Gregorio il quale minaccia di non dare l’appoggio alla finanziaria se in essa non viene inserito un miliardo di euro in più per le forze armate, è bene far presente alcune cose:
Qualche settimana fa sono stata fra coloro i quali avevano espresso in vari modi appoggio e solidarietà a Roberto Saviano per le minacce ricevute e l’isolamento in cui si era ritrovato dopo l’enorme successo editoriale riscosso dal suo Gomorra.
Ora permettetemi e soprattutto permettimi Saviano, qualche dubbio.
Rinnovo anche qui la mia solidarietà per le minacce e le intimidazioni che hai ricevuto e considero coraggioso l’aver scritto il libro e forse ancor di più l’aver gridato a voce alta dal palco di Casal di Principe “andate via da questa terra” ai padrini di cui hai fatto nome e cognome pubblicamente. Trovo deplorevole l’isolamente ambientale in cui ti sei trovato.
Doña Soledad,
que tocas a mi cuarto
que te puedo yo ofrecer
en cambio del cuento tierno de tu historia?
Doña Soledad,
recorriendo juntas caminos de fuego
entre versos del alma de quien amó
y que por amar murió y sin embargo murió amando y quizá por eso amando todavía más,
entre suspiros de quien no alcanzó a ver más la luz
y que quien sabe si murió por desear la luz,
entre los hojos de miles y miles de hijos matados por el poder
y que fueron matados simplemente por desear de no dejarte sola,
Doña Soledad.
Per quanto riguarda le riflessioni politiche sui recenti risultati elettorali in Nicaragua e sui dubbi che circondano la figura di Daniel Ortega rimando volentieri a quanto scritto dagli amici VERO SUD AMERICA e NOTIZIE DALL’IMPERO.
La sottoscritta pur essendo scettica in merito all’essere ancora di sinistra di Ortega, soprattutto rispetto ai compromessi e alle allenaze che ha stretto per avere potere (compreso anche quella con la parte più reazionaria e conservatrice della chiesa nicaraguense per cui ha votato contro l’aborto terapeutico nel suo paese), preferisco, come suggerisce GENNARO CAROTENUTO, vedere il bicchiere mezzo pieno, se non altro nella prospettiva in cui la vittoria di Ortega appare come un’ulteriore indebolimento della supremazia USA nella regione in virtù dell’appoggio avuto da Cuba e Venezuela.
Il poeta nicaraguense, Ernesto Cardenal tuttavia è molto scettico sul suo ex-compagno di lotta Daniel, di cui dice in una recente intervista sul Manifesto del 5/11 che egli “fa solo ipocrita demagogia” avendo perduto tutti i valori e gli ideali che lo animavano nel passato.
Mi piace ricordare quei valori e quegli ideali con una poesia proprio di Cardenal che si chiama “Hora O” e che è dedicata ad Augusto Sandino e di cui è stata fatta una bellissima e struggente versione musicale dal gruppo Chiloe:
He is a bandido”, decía Somoza, “a bandolero”. Y Sandino nunca tuvo propiedades. Que traducido al español quiere decir: Somoza le llamaba a Sandino bandolero. Y Sandino nunca tuvo propiedades.... Continua a leggere...
Dal 7 al 26 Novembre - INFO
Igor Vartchenko/ Russia
Due vicende giudiziarie, due imputati eccellenti. Di uno abbiamo immagini perfino delle ispezioni orali a cui è stato sottoposto dopo la cattura, dell’altro sappiamo ben poco se non che sia affetto da una non meglio identificata “demenza senile” o “demenza vascolare” che però gli ha permesso di compiere operazioni finanziare da manuale.
Saddam Hussein e Augusto Pinochet Ugarte.
Un processo mediatico sebbene prevedibile nella sua conclusione quello a Saddam Hussein del quale sono stati studiati i gesti, le espressioni e perfino l’abbinamento della camicia alla sua giacca, passato quasi in sordina eppure molto meno scontato nel suo svolgimento quello a Pinochet,... Continua a leggere...
Javad Alizadeh/Iran
UN TRIONFO SUL DOMINIO DEL TERRORE
Con queste parole Condoleezza Rize, segretario di Stato americano, ha “salutato” la notizia della condanna a morte di Saddam Hussein per il massacro di Dujail.
“La sentenza è un modo pieno di speranza per ricordare a tutti gli iracheni che lo stato di diritto potrà trionfare sullo stato del terrore e che il perseguimento pacifico della giustizia è preferibile al perseguimento della vendetta”.
C’è qualcosa che non torna o sbaglio?
Come può essere una condanna a morte, pur se di un criminale (ma da che pulpito viene la predica verrebbe da dire!) un “modo pieno di speranza….”
Come può una condanna a morte rappresentare un “perseguimento pacifico della giustizia”?
Benedetto XVI dall’alto della sua cristianità potrebbe pure dire qualcosa...
È talmente raro leggere notizie sulla Colombia dai nostri quotidiani che quando questo accade, vale senz’altro la pena riportarle.
Ancora di più vale la pena se a scrivere è Guido Piccoli , il quale riesce, credo, come nessuno in Italia, a collocare gli avvenimenti colombiani nella loro giusta prospettiva, con profonda lucidità e senza mezzi termini.
Uribe ha avuto il pretesto che cercava o Uribe piuttosto si è creato il pretesto che cercava?
In Colombia più che in ogni altro paese al mondo niente è come sembra e tutto è relativo.
Il potere politico e quello militare manipolano la realtà, i morti, le stragi e le carneficine a loro piacimento.
Civili uccisi e fatti passare per ribelli dove averli opportunamente “mascherati”, imboscate a paramilitari organizzati dallo stesso esercito con il quale collaboravano, in pochi hanno dubbi ormai sulla vera regia di questi nuovi attentati.
Fonte: www.ilmanifesto.it
Uribe ha avuto il pretesto che cercava. Per la guerra totale In Colombia le speranze di un accordo Farc-governo per uno scambio di prigionieri sono subito svanite nel nulla GUIDO PICCOLI
Com'era ampiamente prevedibile, in Colombia l'illusione, se non della pace almeno del dialogo, è subito sfumata per lasciare il posto alla solita sequela d'attentati, imboscate ed esecuzioni sommarie o mirate. L'ultima azione clamorosa è l'assalto concentrico, martedì scorso, di mezzo migliaio di guerriglieri, che ha provocato la morte di una ventina di poliziotti, a guardia di Tierradentro, villaggio del dipartimento atlantico di Cordoba, ritenuto l'incontrastato regno paramilitare. Tra le vittime di questo clima di guerra ci sono anche la cinquantina di sequestrati delle Farc (tra i quali l'ex-candidata presidenziale franco-colombiana Ingrid Betancourt) e i cinquecento e più ribelli detenuti nelle carceri statali che, a meno di un miracolo sempre possibile nella terra di Macondo, dovranno aspettare che Uribe se ne vada nel 2010 da Palacio Nariño per rivedere la libertà. Anzi, il primo gruppo dovrà scongiurare che non abbia successo il riscatto militare, promesso da un indemoniato Uribe una decina di giorni fa. Sarebbe la loro condanna a morte: secondo le ferree regole della barbarie colombiana, finirebbero uccisi dai commando militari (notoriamente restii alle operazioni chirurgiche) o giustiziati dagli stessi guerriglieri, appena questi si trovassero circondati o costretti alla fuga. A cambiare il clima nel paese, è bastata un'autobomba che, senza fare morti, ma solo una ventina di feriti, è scoppiata nel parcheggio della Scuola superiore di guerra, nella zona nord di Bogotà e soprattutto nel cuore del potere militare colombiano ( a poche centinaia di metri ci sono le sedi della XIII Brigata, della V Divisione e delle scuole di Fanteria e di Guerra psicologica). Dopo poche ore dall'esplosione di sessanta chili del potente R-1, in base ad una frase di una telefonata (che nessuno ha potuto ascoltare), che sarebbe stata intercettata tra il presunto attentatore e il capo militare guerrigliero, il cosiddetto Mono Jojoy, Uribe ha annunciato un'offensiva frontale contro le Farc, descritte come una banda di terroristi, fantocci e vigliacchi. Pochi credono che quella bomba sia stata effettivamente messa dai guerriglieri (così come pochi, a suo tempo, credevano all'attribuzione di tutte le auto-bombe a Pablo Escobar e non alla variegata schiera dei suoi nemici, che comprendeva, tra gli altri, la Cia, i paramilitari e le diverse polizie segrete colombiane). Gli indizi non mancano. A cominciare dalla smentita (quasi insolita) delle Farc. Ma soprattutto, anche in questo caso, è legittimo chiedersi «cui prodest?»: puntuale come un orologio svizzero, l'attentato ha tolto Uribe dall'impaccio di accettare il cosiddetto «scambio umanitario» con la guerriglia, e la relativa smilitarizzazione di una zona meridionale del paese, vista come fumo negli occhi non solo dal vertice delle Forze armate, ma anche da Washington. A far propendere per l'auto-attentato, c'è anche una clamorosa coincidenza: appena un mese e mezzo fa è venuta alla luce la messinscena, ad opera di quattro ufficiali (in collaborazione con una ex guerrigliera, affamata di soldi e libertà) di tre attentati, sventati all'ultimo momento o realizzati (con un paio di vittime) a Bogotà, nei mesi precedenti l'insediamento di Uribe. Che quest'ultimo sia al corrente di questo nuovo episodio della «strategia della tensione» poco importa. Di fatto, quando, dal palchetto montato sul luogo dell'attentato, ha finito il suo bellicoso discorso (secondo le parole del giornalista del quotidiano El Tiempo) «era tornato ad essere quello di prima. Quello di sempre. Il suo viso lo diceva. Era raggiante». Per sfortuna sua, e dei suoi alleati, sponsor e tifosi, la guerra non si vince a suon d'insulti, ma sul campo di battaglia (e l'attacco delle Farc a Tierradentro rivela tutta la debolezza dell'esercito colombiano). Oppure lavorando seriamente per la pace. Una strada che Uribe, «quello di sempre», non sembra avere nessuna intenzione di percorrere.
Roma, 11 Aprile 2006
ALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA
ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Egregi Signori, Internet come tutti sanno è una finestra aperta sul mondo, permette infatti a tutti noi comuni cittadini di accedere a notizie ed informazioni difficilmente accessibili se provenienti da paesi lontani. Qualche giorno fa questa finestra mi ha evidenziato realtà e problematiche che purtroppo già conoscevo provenienti dalla Colombia e cioè la corruzione della sua classe politica ed il fatto che in quel paese l'ingiustizia si legalizza proprio nelle sedi in cui questa dovrebbe essere più tenacemente combattuta. Ora ho scoperto che abbiamo accolto nel nostro paese come diplomatici ... Continua a leggere...
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