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Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 29/01/2009

Per il furto con scasso, un reato contro la proprietà, sono previsti fino a sei anni di reclusione. Per il reato di "stalking" cioè la persecuzione generalmente commessa da ex mariti, conviventi o fidanzati ai danni di una donna al massimo è prevista la condanna fino a quattro anni di reclusione.
E’ stato approvato oggi il Ddl anti-stalking che introduce l’articolo 612-bis nel codice penale per “chiunque molesta o minaccia taluno con atti reiterati e idonei a cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero a ingenerare un fondato timore per l' incolumita' propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero a costringere lo stesso ad alterare le proprie scelte o abitudini di vita". Un reato quindi contro la persona, punibile da oggi con una pena fino a un massimo di quattro anni.
E’ stato inoltre respinto l’emendamento presentato da Barbara Pollastrini (PD), che prevedeva la possibilità di patrocinio gratuito per le vittime di stalking, che quindi dovranno farsi carico di tutte le spese legali nel caso decidessero di sporgere denuncia. Il patrocinio gratuito sarebbe stato sicuramente un valido sostegno per tutte quelle donne che si trovano in situazioni difficili e che non sanno come venirne fuori. La possibilità di godere del patrocinio gratuito avrebbe potuto aiutarle nella già di per sé difficile decisione di sporgere denuncia contro un familiare che nella stragrande maggioranza dei casi è stato o è una persona affettivamente e sentimentalmente vicina alla vittima. E’ noto inoltre come simili situazioni avvengano in ambienti già di per sé difficili per la donna, soprattutto dal punto di vista economico. Difficoltà quella economica, che rappresenta un notevole impedimento per le donne a liberarsi di alcuni meccanismi che oltre allo stalking comprendono spesso anche casi di violenze fisiche. Le donne economicamente indipendenti o comunque più abbienti infatti, sicuramente hanno meno impedimenti a ricostruirsi una vita anche lontano dal luogo di residenza originario, o a cambiare città se non paese, indipendentemente dal fatto di aver presentato o meno denuncia.
Generalmente chi commette stalking è una persona con gravi turbe psichiche che ha problemi ad accettare percorsi di cura e difficilmente rispetterà per esempio il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa, così come difficilmente terrà conto del richiamo orale che potrebbe venirgli dal Questore, come previsto dal Ddl. Se padri separati, queste persone, almeno allo stato attuale delle cose continuano a vedere i propri figli, spesso usandoli o plagiandoli per continuare a commettere violenze contro le ex mogli.
Resta inoltre il problema gravissimo della lentezza giudiziaria. Oggi una donna che denuncia il proprio coniuge per violenze in famiglia deve aspettare mediamente due anni o tre per vedere il suo fascicolo sul tavolo di un giudice in prima udienza. Passeranno altrettanti anni probabilmente per arrivare a una condanna definitiva. In tutto questo periodo di tempo è lasciata completamente sola dalle istituzioni a gestire situazioni difficili e pericolose che spesso sfociano in vere e proprie tragedie.
Più che il problema della pena, resta grave infatti quello del grande vuoto delle istituzioni, completamente assenti dal momento in cui una donna sporge denuncia fino a quello in cui viene emessa una condanna spesso inutile ed irrisoria, periodo durante il quale può veramente accadere di tutto.

Mi informano che Ingrid Betancourt ha tenuto la settimana scorsa un incontro pubblico a Terni, dove ha ritirato il "Premio San Valentino un anno d'amore" 2009. Ha parlato di tante belle cose, poco o niente di Colombia. Poi rispetto alla liberazione delle altre persone sequestrate, ha citato la vicenda di Aung San Suu Ki e quella del caporale israeliano Gilad Shalit. Senza aggiungere nessun'altra parola, su Gaza, sui bambini massacrati (almeno loro...) sulla guerra. Niente di niente. Liberate il caporale Gilad Shalit... Qui di seguito invece le le impressioni di un amico dell'incontro con Ingrid Betancourt di sabato 24 gennaio scorso all'Arsenale della Pace di Torino.
di Riccardo Gavioso
Ieri al Sermig eravamo in molti desiderosi d'incontrare Ingrid Betancourt. E per sentirla parlare, vederla finalmente sorridere e provare l’emozione d’incrociare quel suo sguardo così forte e diretto, ci siamo sobbarcati qualche inevitabile disagio.
Abbiamo dovuto far buon orecchio alla cattiva sorte, e sorbirci i tanti che la circondavano sul palco, e che, escluso il padrone di casa, Ernesto Olivero, non avevano nulla da dire, ma lo hanno fatto con sfoggio di tanta impeccabile quanto insignificante eloquenza. Abbiamo dovuto apprendere dal vice di Bondi che era ansioso di correre a casa dalla consorte per raccontale le mirabilie udite con i suoi occhi, senza poterci togliere la curiosità se, come il suo superiore, era uso scrivere rime poetiche per magnificare, oltre alla sua, anche la Signora Veronica Lario in Berlusconi. Abbiamo dovuto aspettare che nelle prime tre file si accomodasse la “Torino che Conta”, e che con la storia della Betancourt c’entrava come un trapano Black&Decker in una natura morta fiamminga.
Io non conto, e ho atteso pazientemente in quarta fila.
Finalmente è venuto il turno di Ingid che, alternando meravigliose parole in spagnolo e francese, spesso interrotta da applausi spontanei, tra considerazioni filosofiche sul valore della sofferenza, sul significato cristiano del cambiamento e sulle parabole che meglio lo rappresentano, ha raggiunto la fine del discorso senza che una sola volta il termine Colombia facesse capolino, tanto per riportare il significato della vita sulla terra in generale, e in particolare su quella per cui si è battuta politicamente fino a rischiare la vita. In definitiva chi avesse voluto apprendere qualcosa della situazione della Colombia, presente e passata, poteva avere miglior sorte all’interno di un’agenzia di viaggi.
La possibilità di interloquire non era prevista. Forse nel timore che qualcuno potesse sottrarre parte del pubblico dall’empireo in cui commosso si lasciava cullare: cosa non bella, ammettiamolo, ma certamente utile. Quindi la domanda che avrei voluto porre a Ingrid Betancourt, la porrò pubblicamente ora:
“Negli ultimi cinquant’anni delle enormi e vergognose ingiustizie sono state humus ideale per la violenza. Numerosi gruppi hanno scelto la lotta armata come sistema di lotta, a volte travolti da una follia che faceva sembrare la scia di sangue che si lasciavano dietro più il fine che non il mezzo. Molti hanno operato in Sudamerica e in America Centrale, diversi in altri continenti e alcuni nel cuore dell’Europa. Se in Colombia nascevano le FARC, noi imparavamo a conoscere le Brigate Rosse, la banda Bader Meinhoff, l’Esercito Repubblicano Irlandese, l’ETA. Ora, lei non crede che lottare contro la violenza lasciando che permangano inalterate le cause che l’hanno generata, sia inutile come estirpare una mala erba lasciando le radici nel terreno? E soprattutto non crede che l’immensa forza mediatica che la sua vicenda ha catalizzato, vista la superficialità dei nostri mezzi d’informazione, rischi, ora che si è felicemente conclusa, di cancellare qualsiasi traccia di quelle ingiustizie e negare visibilità ai molti che ancora si trovano ad affrontare il dramma che è stato il suo per sei lunghissimi anni?"
Fotografie del 29/01/2009
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