Le violazioni dei diritti umani del popolo mapuche accertate da parte degli organismi internazionali
Facendo buon viso a cattivo gioco, il Cile ha accettato le raccomandazioni di alcuni Stati membri dell’ONU e di alcune ONG rispetto al tema della violazioni dei diritti umani del popolo mapuche, promettendo entro la fine del corrente anno di dare impulso a un programma nazionale volto al rispetto di questi e realizzato in coordinazione con la società civile.
La sessione speciale dell’ONU si è tenuta martedì 12 maggio nell’ambito della riunione dell’ Esame Periodico Universale (EPU), un nuovo meccanismo delle Nazioni Unite che ogni quattro anni esamina la situazione di un determinato paese.
Povertà estrema, educazione, rispetto dei diritti di donne e bambini, fine della repressione, garanzie giuridiche e diritto alla terra. Questi i principali temi affrontati e le richieste di chiarimenti da parte di alcuni paesi membri dell’ONU, ma sono state proposte anche raccomandazioni sul caso dei giornalisti stranieri espulsi dal paese per aver realizzato reportages sui mapuche e la revisione della legge Antiterrorista, alle quali il governo cileno deve rispondere entro il settembre del 2009.
Tuttavia rischia di trasformarsi nel solito balletto vuoto e senza senso di raccomandazioni, fatto di buone intenzioni e promesse mancate, dove tutti sanno quel che accade ma nessuno è seriamente intenzionato a fare bene la sua parte fino in fondo. E soprattutto dal quale è rimasto escluso il diretto interessato e cioè il popolo mapuche.
Se è vero che nell’assemblea dell’EPU sono state sentite numerose associazioni per la difesa dei diritti umani e molte ONG, è anche vero che non un rappresentate del popolo mapuche è stato invitato a partecipare.
La situazione dei mapuche in Cile oggi è talmente grave e preoccupante che a ben poco potranno servire raccomandazioni e belle parole.
Ha a che vedere direttamente con i giochi di potere e il pinochettismo che è tutt’altro che morto e con una presidente, Michelle Bachelet, che sembra totalmente piegata a poteri molto più forti di lei e che non prende ferma posizione in merito anche perchè tra quasi un anno è in scadenza il suo mandato.
Le violazioni più gravi verso il popolo mapuche sono commesse dall’Esercito e dalla Polizia come riportato anche nella relazione del Comitato Contro la Tortura delle Nazioni Unite, nel quale si è fatto esplicito riferimento a maltrattamenti che si trasformano in veri e propri casi di tortura, all’ impunità imperante per cui chi commette le violazioni non viene mai giudicato e condannato e alla stessa legge di Amnistia per la quale non si possono giudicare le violazioni dei diritti umani commesse tra l’11 settembre 1973 e il 1988.
Le violazioni dei diritti umani contro il popolo mapuche sono commesse soprattutto durante le operazioni di perquisizione delle comunità, durante lo sfollamento forzato e durante gli interventi realizzati in occasione della riappropriazione delle terre da parte dei mapuche.
I morti e le violenze commesse sui bambini
In alcune occasioni le operazioni di polizia hanno avuto esito tragico come accadde nel 2002 con la morte del 17enne Alex Lemún Saavedra, rimasto ucciso da un colpo di arma da fuoco sparato dai Carabinieri o di Juan Collihuín morto per lo stesso motivo nel 2006, o più recentemente per l’uccisione di Matías Catrileo, morto durante una recuperazione di terre il 3 gennaio 2008.
In tutti questi casi gli autori materiali di queste morti sono ancora in servizio e nessun provvedimento è stato preso contro di essi.
Particolarmente grave è la situazione delle donne e dei bambini mapuche, i soggetti più deboli delle comunità.
Ci sono neonati, come è avvenuto ad una bambina di appena sette mesi che è rimasta intossicata dal lancio di un lacrimogeno lanciato all’interno della sua abitazione, che riportano gravi lesioni e traumi durante le operazioni di polizia, o minori che raccontano di essere stati picchiati dai Carabinieri o tenuti per un’intera notte in celle umide e fredde e senza cibo.
Bambini che raccontano di intimidazioni e minacce e altri che ricevono alla schiena o alle gambe i pallini antisommossa o che restano completamente soli dopo l’arresto di tutta la famiglia come è avvenuto alla figlia minore della lonko (dirigente indigena) Juana Calfunao che ha dovuto chiedere asilo a Ginevra.
Il Servizio di Salute dell’Araucania Nord, (Programma di Salute Mapuche - Dipartimento di Psichiatria, Ospedale di Angol) ha testimoniato proprio al riguardo, come i bambini delle comunità mapuche soffrano di tutta una serie di disturbi e problemi psicologici riconducibili al conflitto territoriale e giuridico.
E’ accertato ufficialmente inoltre anche un caso di sparizione forzata, un ragazzo di 16 anni, José Huenante, è scomparso da tre anni dopo essere stato visto l’ultima volta su un’ auto dei Carabinieri. Tre di essi sono formalmente accusati del suo sequestro, ma del giovane nessuna notizia ad oggi.
I prigionieri politici
Non meno grave appare la situazione dei prigionieri politici mapuche nelle carceri cilene. In un recente comunicato dichiarano di rifiutare fermamente “l’integrazione forzata con la società winka (occidentale) corrotta dall’individualismo” e reclamano e confermano i loro diritti sui territori originari svenduti completamente alle multinazionali dai quali sono stati cacciati per permetterne lo sfruttamento.
Lo sfruttamento delle foreste ad opera delle multinazionali del legno, la costruzione di dighe e centrali idroelettriche, di aeroporti, lo sfruttamento minerario delle enormi ricchezze del sottosuolo, sono queste le politiche che attua il governo cileno per svendere le risorse del paese ai capitali stranieri e per la cui realizzazione passa sopra ai diritti dei popoli nativi, decretandone la scomparsa.
C’è una campagna sistematica di distruzione e di annichilamento di intere comunità che si sta portando avanti nel silenzio indecente della comunità internazionale e che si compie attraverso repressione, minacce, uccisioni e arresti.
I membri delle comunità organizzate e in lotta, i weichafe (guerrieri), vengono incarcerati e accusati in base a leggi risalenti alla dittatura di Pinochet di essere “terroristi” e condannati con pene lunghissime che arrivano fino a dieci anni e oltre per reati minori quali l’incendio (elevato alla categoria penale di “incendio terrorista”), la recuperazione di terre e atti di proteste o rivendicazioni sociali.
Soltanto della Coordinadora Mapuche Arauco Malleco sono stati arrestati circa un mese fa 11 membri che vanno ad aggiungersi agli oltre 40 prigionieri nelle carceri che Michelle Bachelet, presidente del Cile, ha più volte ribadito non essere prigionieri politici.
Patricia Troncoso, Elena Varela e i giornalisti “terroristi”
Purtroppo il conflitto con il popolo mapuche fa parte di una delle tante lotte giuste ma dimenticate del mondo. Si fa finta di non sapere che è un intero popolo che si ribella a un sistema di potere con forme di protesta antiche e organizzate e che è sbagliato e disonesto chiamare terrorismo.
La legittimità delle richieste del popolo mapuche, la fierezza della sua gente, l’importanza delle sue rivendicazioni esce soltanto per brevi momenti dai confini nazionali quando il sistema politico e giudiziario cileno “inciampa” in incidenti di percorso come accadde l’anno scorso in occasione del lunghissimo sciopero della fame (112 giorni) che Patricia Troncoso portò avanti dal carcere e che la condusse quasi alla morte e in seguito al quale ottenne soltanto modesti benefici rispetto alla sua detenzione. Le sue richieste politiche più importanti, quali la libertà per tutti i prigionieri politici, la smilitarizzazione dei territori mapuche dell’Araucanía, l’abrogazione della legge Antiterrorista, la fine della repressione contro il popolo mapuche, furono completamente disattese.
Il suo sciopero della fame non si concluse con la sua morte solo per la grande pressione internazionale su di un governo sordo e cieco, dal momento che Patricia non ha mai ricevuto, nemmeno nei momenti più critici, la visita di nessun rappresentante del governo del suo paese.
Sempre lo scorso anno balzò alla cronaca la vicenda della videomaker Elena Varela, arrestata nel maggio del 2008 e tenuta in carcere tre mesi, mentre realizzava un reportage dal titolo Newen Mapuche sul conflitto con le multinazionali del legno, accusata di essere l’autrice intellettuale di alcune rapine in banca commesse tra il 2004 e il 2005 in associazione con la guerriglia del MIR (Movimiento de Izquierda Revolucionaria).
In quell’occasione le fu sequestrato tutto il suo lavoro. Il processo, con il quale rischia una condanna a 15 anni di carcere, che era fissato per il 29 aprile è stato rimandato ai primi di giugno per aspetti formali.
Anche Reporters senza Frontiere ha espresso in una lettera a Michelle Bachelet (alla quale lei non ha mai risposto) preoccupazione per la sentenza che sarebbe scaturita dal processo e i dubbi circa la validità delle accuse.
D’altra parte era già avvenuto in passato che giornalisti stranieri fossero identificati come “terroristi” ed arrestati. Accadde nel marzo 2008 con due cittadini francesi, nella zona di Collipulli quando Christophe Harrison y Joffrey Rossi furono detenuti per poco tempo, accusati di aver provocato un incendio e di appartenere all’ETA e a due cineasti italiani, Giuseppe Gabriele y Dario Ioseffi, accusati di “terrorismo” e poi espulsi dal paese.
Il prossimo Esame Periodico Universale (EPU) si terrà tra quattro anni. In Cile allora ci sarà un altro governo e un altro presidente. Da Michelle Bachelet ci si aspettava molto, sicuramente molto di più di quello che ha fatto per il rispetto dei diritti umani nel suo paese, vista la sua storia personale segnata da gravi perdite familiari durante la dittatura di Pinochet.
Il pinochettismo e il potere militare sono ancora forti in Cile, la destra è sicuramente una delle più forti in America latina, il neoliberismo applicato selvaggiamente negli anni ’70 e ’80 si è radicato prepotentemente creando ferite profonde in un tessuto sociale già gravemente compromesso da anni di terrore.
Il popolo mapuche rivendica i suoi territori, afferma prepotentemente e con orgoglio il diritto di vivere sulle sue terre, riconferma con fierezza usi e tradizioni antiche che non vuole perdere.
“Gli occhi neri di Lautaro
gettano migliaia di lampi.
Come soli fanno germogliare i solchi
come soli guidano l’avanzata di un popolo combattente
che non vuole essere schiavo
come un puma in gabbia”
(Rayen Kvyeh)
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In questi giorni la poetessa mapuche Rayen Kvyeh è in Italia per presentare alla Fiera del Libro di Torino la sua ultima raccolta di poesie dal titolo “Luna di Cenere” per le Edizioni Gorée e con la traduzione dallo spagnolo di Antonio Melis professore ordinario di Lingue e Letterature Ispanoamericane presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena.
Incontreremo Rayen Kvyeh e la poetessa peruviana Gladys Besagoitia venerdì 22 maggio alle 17.00 presso la Sala delle Conferenze dell’Istituto Demoetnoantropologico (Museo delle Arti e Tradizioni Popolari), Piazza Marconi, 8/10 Roma.
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