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Foto: H.I.J.O.S. México
L’oscurità genera la violenza
e la violenza ha bisogno di oscurità
per diventare crimine.
Per questo il due di ottobre attese la sera
perchè nessuno vedesse la mano che impugnava
l’arma, ma solo i colpi che sparò.
(Da Memorial de Tlatelolco di Rosario Castellanos)
Da genocida a “innocente con riserva di legge”. Questa potrebbe essere la formula magica con la quale la giustizia messicana ha salvato il 27 marzo scorso, l’ex presidente Luis Echeverría Álvarez, 87 anni, dall’accusa di genocidio, come richiesto già dal Tribunale Speciale per i Movimenti Sociali e Politici del Passato (Femospp). Il massacro di Tlatelolco (o della Piazza delle Tre Culture) fu chiamata quella strage, compiuta dallo stato per distruggere nel giro di poche ore il movimento studentesco messicano.
E di genocidio si trattò, compiuto contro un “gruppo nazionale” (quello degli studenti) come ha dichiarato una perizia sociologica.
Correva l’anno 1968. Il magnifico 1968. Fu magnifico ed organizzato non solo negli Stati Uniti e in Europa. In Messico non si erano mai viste manifestazioni spontanee di quella portata, il momento d’oro del movimento studentesco si sviluppò proprio tra l’agosto e il settembre del 1968.
Il 2 ottobre di quello stesso anno, alle cinque e mezza del pomeriggio, nella piazza delle Tre Culture a Città del Messico, c’erano diecimila persone. Quasi tutti giovani studenti universitari, ma anche bambini, casalinghe, lavoratori, abitanti delle palazzine circostanti scesi a curiosare, anziani, migliaia di persone che si erano date appuntamento per ascoltare il comizio dei promotori del Consejo Nacional de Huelga (Comitato Nazionale dello Sciopero) che parlava dal terzo piano dell’edificio Chihuahua.
All’improvviso un bagliore alto in cielo, le luci di alcuni bengala. Un segnale. Lo si capì dopo, soltanto dopo. E fu una pioggia di proiettili, infinita, implacabile. 29 minuti di orrore. 5mila soldati armati di mitragliatrici per 29 minuti contro 10mila persone inermi chiuse in una piazza che sembra un’arena.
Dopo 40 anni ancora non si conosce con esattezza il numero dei morti né quello delle persone scomparse quel giorno.
La sentenza del tribunale ha accertato che nonostante sia vero che il 2 ottobre 1968 fu compiuto un genocidio e che tale delitto non è prescrivibile essendo un crimine contro l’umanità, ha però confermato un verdetto del 2007 con il quale di fatto viene sollevato dalle sue responsabilità l’ex presidente Luis Echeverría Álvarez che all’epoca dei fatti ricopriva la carica di segretario del governo del presidente Gustavo Díaz Ordaz.
Luis Echeverría che si trovava agli arresti domiciliari dal 2006, in seguito a tale sentenza è adesso un uomo libero e innocente, nonostante in Messico pochi siano convinti della sua estraneità al massacro.
Quella di Tlatelolco non è la prima accusa di genocidio per l’ex presidente. E non è la prima dalla quale viene prosciolto. Era già accaduto con la strage detta del Corpus Domini o del halconhazo dal nome degli halcones, (falchi), gli agenti speciali della polizia al suo servizio quando ricopriva la carica di presidente della Repubblica (dal 1970 al 1976), che massacrarono decine di studenti mentre manifestavano il 10 giugno del 1971.
Alcune associazioni tra le quali il Comité 68, Eureka, e H.I.J.O.S. México, che raggruppano i familiari dei desaparecidos del movimento studentesco e della guerra sucia degli anni ’70 hanno organizzato qualche giorno dopo la sentenza, il 1 aprile scorso, un escrache, (lett. uno sputtanamento) come si definisce in Messico (ma anche in Argentina) la protesta pubblica solitamente agita sotto l’abitazione o il luogo di lavoro della persona che si vuole denunciare.
Hanno circondato la casa dell’ ex presidente Echeverría con cartelli recanti le scritte “Genocida libero” e “Luis Echeverría il popolo ti condanna” e lanciato uova e pomodori contro il suo portone. Nelle vie circostanti altri cartelli con la fotografia di Echeverría avvisavano i passanti e i residenti che in quella zona risiede un genocida.
Era presente all’iniziativa anche Lucía Morett, l’unica sopravvissuta al massacro compiuto a Sucumbíos (Ecuador) dall’esercito colombiano, dove sono morti 4 suoi connazionali oltre a una ventina di guerriglieri e al numero due delle FARC Raúl Reyes. Ha ricordato che, come Echeverría, anche Álvaro Uribe è un genocida e un terrorista di stato.
Le associazioni che hanno organizzato la protesta hanno anche annunciato che nei prossimi giorni presenteranno ricorso ai tribunali internazionali.
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