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un urlo selvaggio denso ...un urlo selvaggio denso che io rilancio con tutta la forza delle ferite di un amore a brandelli contro queste ore di padroni affamati di sangue di retate contro le sbarre pesanti dell'emarginazione contro le foreste di un dolore e una solitudine senza fine.

Ferruccio Brugnaro
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\\ : Articolo
Quanto è progressista Stiglitz.
Di Annalisa (del 30/09/2006 @ 18:37:39, in Traduzioni/Traducciones, linkato 1477 volte)

Eduardo Gudynas

En Español

La figura dell’economista Joseph Stiglitz appare sempre più frequentemente come riferimento e fonte di ispirazione per tutti coloro che sostengono nuove politiche di sviluppo. Ci troviamo nella situazione in cui un economista tradizionale appare come una figura celebrata dai più diversi movimenti alternativi.
C’è qualcosa di strano in tutto questo: Stiglitz continua ad essere un economista convenzionale, non è il sostenitore di nessun cambiamento radicale né rivoluzionario nell’economia dello sviluppo, al contrario le sue posizioni sono quasi sempre ancorate alla tradizione liberale.
E’ vero che Stiglitz ha attaccato duramente alcune posizioni economiche attuali. Ma è necessario porre le sue argomentazioni in prospettiva.
Egli ha ottenuto notorietà per le sue forti critiche al Fondo Monetario Internazionale (FMI) e specialmente su come venivano applicate alcune ricette di aggiustamento strutturale. Sebbene il suo libro più venduto, “La globalizzazione e i suoi oppositori” pubblicato nel 2002, nel titolo richiami ad una revisione di tutti i processi globali attuali, quello che in realtà prevale nelle sue pagine sono interrogativi e critiche al comportamento del FMI. Vi si trovano molte delle questioni e rivalità personali tipiche della comunità internazionale di Washington.
Stiglitz parte da una visione ristretta della globalizzazione. La definisce come un processo economico inteso come “l’eliminazione degli ostacoli al libero commercio ed una più ampia integrazione delle economie nazionali” e la cui “forza” è “l’arricchimento di tutti, in modo particolare dei poveri”. Questa è una visione della globalizzazione essenzialmente economica, che in se stessa ha un indiscusso potenziale positivo, mentre il dibattito dovrebbe basarsi piuttosto sul modo di “amministrare” la globalizzazione. Partendo da queste idee, ne “La globalizzazione e i suoi oppositori”, egli punta il dito specialmente contro il FMI. Quasi tutto ciò che scrive è vero; dalla miopia nell’applicazione degli strumenti fino all’arroganza dei suoi funzionari che fanno pressioni per riforme strutturali.
Ma Stiglitz non pone gli stessi interrogativi sull'istituzione sorella del FMI, cioè la Banca Mondiale. Ricordiamo che questo economista ha occupato una posizione di prestigio in questa banca dal 1997 al febbraio del 2000. Stiglitz ha una visione abbastanza semplicistica della Banca Mondiale, dal momento che la presenta come un’istituzione che dipende dalle decisioni del FMI e non affronta adeguatamente il suo ruolo come promotrice di iniziative e programmi di sviluppo, attraverso i quali si delineano dalle riforme della sicurezza sociale agli investimenti nelle infrastrutture. Sebbene meno noti delle famose lettere di intenti e dei programmi di aggiustamento strutturale del FMI, gli accordi con la Banca Mondiale, sia sotto forma di programmi allo sviluppo sia sotto forma di fondi strutturali, hanno rappresentato il fondamento degli studi sulle riforme di mercato fino a pochi anni fa. Negli anni in cui c’era Stiglitz non si sono registrate migliorie sostanziali atte a convertire l’impatto sociale e ambientale dei processi finanziati dalla Banca, e nemmeno sono migliorate le condizioni di trasparenza e accesso all’informazione.
Le relazioni della Banca Mondiale, e specialmente i suoi rapporti annuali sullo sviluppo mondiale, hanno ottenuto lo stesso trattamento. Certamente il volume sulla povertà (2000/2001) è stato al centro di un certa polemica, alla quale ha partecipato Stiglitz, ma in ogni modo l’accento era posto sulle riforme di “seconda generazione”. Negli anni di Stiglitz alla Banca Mondiale si erano completate la serie di proposte di riforme strutturali per l’America Latina, guidate dall’ufficio del capo economista responsabile della regione. In questi anni è apparso il conosciuto trio di pubblicazioni di Shahid, J. Burki e Guillermo Perry, con la lunga lista di riforme che si dovrebbero applicare in America Latina, dall’apertura commerciale alla decentralizzazione e municipalizzazione dello Stato. Molte di queste proposte sono state messe in pratica in alcuni paesi.
Sebbene Stiglitz abbia criticato la nomina di P. Wolwitz alla presidenza della Banca Mondiale (fatto che gli ha valso applausi), ricordiamo che i candidati erano l’ex presidente messicano Ernesto Zedillo, l’ex presidente della Banca Centrale del Brasile, Arminio Fraga e l’ex vicepresidente della Banca Mondiale, Kemal Dervis (Turchia). I punti a loro favore era che avevano esperienza di sviluppo economico e di mercati finanziari e che si erano laureati o tenevano lezioni nelle Università di Yale e Princeton o che potevano contare sull’appoggio del Financial Times (Stiglitz su El Pais, Madrid, 12 Marzo 2005). Queste non appaiono argomentazioni convincenti da una prospettiva rinnovatrice.
Certamente Stiglitz dice molte cose interessanti in materia di economia ed in alcuni momenti ha delle ispirazioni di eterodossia. E’ molto piacevole leggerlo e riflettere su alcuni punti. È anche vero che alcune sue critiche dirette al cuore della comunità dei tecnocrati globali di Washington, hanno un forte impatto. Bisogna però riconoscere che possiede una visione semplicistica della globalizzazione, dal momento che insiste sui suoi aspetti economici convenzionali. Una delle mie frasi preferite pronunciata da Stiglitz per dimostrare il suo semplicismo si trova nelle conclusioni di “La globalizzazione e i suoi oppositori”, quando afferma: “il mondo è complicato”. Ci si potrebbe aspettare che offrisse un’analisi un po’ più dettagliata, nonostante il fatto che nessuno possa negare che il mondo sia complicato. Questa stessa cosa la affermano molti altri economisti e leader sociali da molto più tempo e con maggiori dettagli.
È evidente che nella globalizzazione influiscono anche altri processi, come quelli che vanno dall’ambito delle ideologie politiche ai modelli culturali di consumo. Stiglitz li rammenta ogni tanto, a volte li intuisce, ma non li elabora in profondità. Per esempio non indaga su una economia alternativa sul tema della povertà, non ha un confronto con le posizioni di Amartya Sen, dovrebbe analizzare e molto più approfonditamente una riforma politica per una nuova economia, e così via con altre questioni. In quasi tutti gli scritti di Stiglitz si finisce per notare che manca lo sviluppo delle problematiche, si annuncia una analisi interessante, si presume che ci sia un approfondimento della materia, come nel caso della OMC o del rinnovamento delle Nazioni Unite… ma restiamo sulla superficie del rinnovamento amministrativo e delle riforme da attuare tramite la gestione. Le proposte alternative di Stiglitz sono quasi una rapida revisione, appesantite da una certa aria di superiorità e per questo motivo somigliano più a dei ricettari. Si tratta di “un'altra ricetta” con alcuni aspetti interessanti ma sempre una ricetta. Certamente l’esempio più chiaro fu il suo scritto “verso una nuova agenda per l’America Latina” pubblicato dal CEPAL nel 2003 e riprodotto in molti paesi. Buona parte delle sue proposte tuttavia sono molto generiche e non differiscono sostanzialmente dalle “nuove” riforme che si discutono in ambito CEPAL, BID e perfino nella stessa Banca Mondiale.
È fondamentale fare un passo avanti, e domandarsi perché ci siano tante persone affascinate dagli scritti di Stiglitz. Sembrerebbe che l’asse del dibattito si sia spostato verso destra, dal momento che un economista liberale come Stiglitz finisce per essere indicato come progressista. O piuttosto continuiamo impacciatamente a cercare persone con prestigio, che abbiano un premio Nobel o una cattedra negli Stati Uniti. Non ci sono nel seno dei movimenti sociali economisti alternativi che dicano più o meno le stesse cose? Sicuramente esistono, nonostante José Luis Fiori abbia ragione quando afferma che la sinistra ha avuto molte difficoltà a produrre i suoi propri programmi economici. Proprio per questo non è il momento di guardare esclusivamente alle cattedre economiche universitarie dell’emisfero nord per promuovere ancora di più il dialogo e le analisi economiche all’interno dei propri movimenti sociali.

Eduardo Gudynas
Fonte: http://www.peripecias.com/
Link:http://www.peripecias.com/desarrollo/104GudynasStiglithtmlzCritica.
30.09.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANNALISA MELANDRI

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