Iván Cepeda e Liliana Uribe, attivisti contro i «falsi positivi»
di Simone Bruno
«Denaro, licenze e premi: così una direttiva metteva un prezzo ai morti» Ivan Cepeda e Liliana Uribe, attivisti contro i «falsi positivi»: un documento del 2005 indica il valore di ogni uomo eliminato. Iván Cepeda, portavoce del Movimento delle vittime di crimini di stato (Movice), è stato tra gli organizzatori delle manifestazioni in favore delle vittime dei falsos positivos del 6 di marzo, che ha visto la partecipazione dei familiari di circa 200 ragazzi assassinati provenienti da 15 regioni del paese. Cosa chiedete con questa manifestazione? La creazione di un gruppo speciale d'investigatori, che si dedichi esclusivamente alla ricerca dei responsabili delle 1400 esecuzioni commesse in Colombia durante il governo Uribe. Fino ad ora le indagini non sono andate avanti, perchè affidate alla giustizia penale militare, ignorando le raccomandazioni dell'Onu. In alcune regioni sono a carico di magistrati designati dall'ex fiscal Camilo Osorio (già ambasciatore in Italia e attuale ambasciatore in Messico): è molto probabile che facciano parte dell'apparato paramilitare. Molte famiglie non hanno ancora potuto riavere i cadaveri dei propri cari. Il ministro della difesa Santos considera quello dei «falsos positivos» un caso chiuso affermando che da ottobre, da quando sono stati allontanati i 27 militari, non si siano verificati nuovi omicidi. È vero? Mente. Continuiamo a registrare casi con modalità molto simili. Santos è il responsabile politico di questa catena di esecuzioni e ne chiediamo la destituzione immediata. E il generale Montoya? Durante il suo periodo alla guida dell'esercito sono aumentati in modo significativo gli omicidi di civili. I generali sono i veri responsabili di questa catena d'omicidi. Il generale Montoya deve essere richiamato in Colombia per rispondere alla giustizia civile. Si può parlare di crimini di lesa umanità? Sì perchè, come ha già affermato l'Alto commissariato per i diritti umani dell'Onu, non sono casi isolati, ma rispondono a politiche istituzionali e in primo luogo alla politica di seguridad democratica del presidente. La Cceeu (Coordinamento Colombia Europa Stati Uniti) è un'organizzazione che raccoglie circa duecento ong che si occupano di diritti umani in Colombia e che, più delle altre, ha studiato i casi dei falsos positivos nel paese. Liliana Uribe ne è la portavoce. Cosa avete potuto accertare con i vostri studi? I falsos positivos si presentano su tutto il territorio nazionale, anche in regioni dove prima non presentavano casi di questo tipo, come Huila e Norte de Santander, che sono le più colpite dalla politica di seguridad democratica. A differenza di quanto afferma il governo, gli incentivi per i militari che uccidono un nemico sono ancora presenti. L'anno scorso abbiamo scoperto una direttiva, la 029 del 2005, un documento segreto scritto dall'attuale ambasciatore all'Osa (Organizzazione degli stati americani) che indica il valore d'ogni essere umano eliminato, in termini di denaro, licenze e altri premi. La storia si basa anche sull'opinione dei militari che la vita dei ragazzi disoccupati non valga niente. Quanto influisce su tutto questo l'impunità diffusa? Su 716 casi con 1171 vittime, solo in 32 è stata aperta un'indagine, e non si è mai arrivati ad una condanna. Nelle zone rurali le cose vanno anche peggio. Inoltre s'indaga solo sugli esecutori, mai sui mandanti. Dei 27 alti ufficiali destituiti, nessuno risulta indagato penalmente. E' forte l'impressione che nessuno risponderà mai alla giustizia. Nonostante dal giugno del 2007 siano state emesse varie direttive dal ministero della difesa contro le esecuzioni extragiudiziali, nel 2008 se ne sono verificate 160. Nelle caserme si sente dire che si può fare tutto, "tanto poi ne risponde il presidente".
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