L'unica razza: quella umana
“Mi raza”. L’humanismo martiano contro gli odi di razza
di Alessandro Badella
La drammatica situazione dei rapporti inter-culturali e inter-etnici, che in questi giorni ha riempito i tg e i giornali, chiaramente esige una riflessione positiva, ovvero una proposta di superamento delle barriere che vengono innalzate nel conflitto tra “l’io” ed “l’altro”. Premetto che, mediamente, il tasso di sopportazione del prossimo è giunto ai minimi storici. Specie se “l’altro” ha la pelle diversa dallo standard (parola ignobile, ma rende l’idea) nazionale.
Quindi, vorrei tentare un piccola comparazione storica. Nella Cuba di fine Ottocento si poneva un problema razziale proprio come nell’Italia di un secolo dopo: che fare dei 520,000 neri (afro-cubani figli degli schiavi importati dagli spagnoli)?[1] Come inserirli all’interno della società post-coloniale? Anche all’epoca era stato lanciato un dibattito molto serrato sulla cubanidad, la cubanità: chi era il vero cubano? Gli afro-cubani potevano esserlo?
Oggi questi interrogativi si possono porre in riferimento ad uno stato nazionale messo a dura prova dall’immigrazione e dal confronto con nuove culture. Dalla cucina allo skyline, le città occidentali sono sempre più eterogenee. Qualche tempo fa, ricordo di aver letto di un pestaggio in cui si ricordava alla vittima, italiana dalla pelle nera, di essere una sorta di anomalia, visto che gli aggressori ritenevano inconciliabili le due qualità: “o si è neri o italiani”.
Gli atti di condanna che le istituzioni hanno espresso in questi giorni sembrano una sorta di atto di umili scuse che non offrono una posizione “propositiva” nel dibattito sull’italianità, sulla dignità umana, sullo status dei cittadini stranieri nel nostro paese. Forse la situazione più grottesca è quella del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che gira con una croce celtica al collo, nel privato, e condanna le violenze razziste in pubblico. Ecco, di fronte a queste scenette da commedia degli equivoci, viene sicuramente da chiedersi come fare a sostenere il dialogo tra culture.
Vorrei richiamare l’attenzione su un articolo pubblicato il 16 ottobre 1893, su Patria il mitico quotidiano fondato dal rivoluzionario cubano José Martí. Il pezzo di intitola “Mi raza”, la mia razza. L’Apostolo della guerra di indipendenza, l’hombre sincero affronta appunto il problema di ricostruire una nuova identità nazionale, che non avrebbe potuto essere ricreata sulle basi del dominio coloniale ispanico, né sulla (pre)potenza economico-sociale dell’elemento creolo (i bianchi cubani). Martí risolve brillantemente il dibattito sulla questione etnica ricorrendo al minimo comune multiplo di tutti gli uomini, ciò la qualità stessa di esseri umani: “El hombre no tiene ningún derecho especial porque pertenezca a una raza u otra: digase hombre, y ya se dicen todos los derechos”[2]. Quindi nessun diritto particolare appartiene né al bianco né al nero (né a nessun altro gruppo etnico). Solamente entrambe le razze (anche se Martí sosteneva apertamente la fallacia delle idee del “darwinismo sociale” con cui venne in contatto nei suoi 15 anni di esilio americano. Nello stesso passo si legge: “Todo lo que divide a los hombres, todo lo que los especifica, aparta o acorrala, es un pecado contra la humanidad”.).
L’eguaglianza razziale, secondo il poeta cubano, si ottiene con una garanzia di diritti inalienabili, che devono essere garantiti indistintamente a tutti gli esseri umani, indipendentemente da tutto, sesso, razza o religione.
L’humanismo martiano superava i confini delle distinzioni razziali, approdando ad una fratellanza universale: “Los hombres verdaderos, negros o blancos, se tratarán con lealtad y ternura, por el gusto del mérito, y el orgullo de todo lo que honre la tierra en que nacimos, negro o blanco”[3]. Gli hombres verdaderos – il termine richiama anche l’incipit dell’opera Versos Sencillos: “Yo soy un hombre sincero” – sono quelli integri, puri e legati dalla volontà di costruire qualcosa insieme. Positivi e propositivi.
Quindi, il fatto di essere cubano (ma, perché no, anche italiano) diveniva una semplice forma mentis, ovvero il rifiuto categorico dell’ingiustizia sociale, dell’oppressione e della schiavitù, ma anche delle divisioni imposte dall’esterno. Citando nuovamente i Versos Sencillos, Martí additava la schiavitù dell’uomo sull’uomo come la grande piaga dell’umanità: “¡La esclavitud de los ombre\ Es la gran pena del mundo!”[4].
Ecco, quella umana è l’unica razza esistente sulla faccia della terra.
[1] Il dato sulla popolazione nera fa riferimento a War Department, Office Director Census of Cuba, Report on the Census of Cuba, 1899, Government Printing Office, Washington, 1900, p. 462.
[2] José Martí, Mi raza, Obras Completas, Centro de Estudios Martianos - Karisma Digital, La Habana, 2001, vol. 2, p.298.
[4] [4] José Martí, Versos Sencillos (XXXIV), Obras Completas, Centro de Estudios Martianos - Karisma Digital, La Habana, 2001, vol. 16, p.112.
[5] José Martí, Mi raza, Obras Completas, Centro de Estudios Martianos - Karisma Digital, La Habana, 2001, vol. 2, p.299.
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