E’ il Carlos Montemayor analista politico e sociale, più che lo scrittore di romanzi e novelle che incontriamo in Messico. “In realtà i malati di mente che vogliono controllare il mondo fanno parte dei governi come quello di George Bush”, spiega in questa intervista esclusiva concessa ad Annalisa Melandri. Nella sua casa di Città del Messico, nel corso di una conversazione piacevole e interessante, circondati da montagne di libri in quasi tutte le lingue del mondo (Carlos Montemayor parla perfettamente cinque lingue oltre al Greco classico e moderno e al Latino) affronta temi importanti e difficili come il terrorismo e la lotta armata, oltre alla grave situazione colombiana, spiegandoci perchè secondo lui “la Colombia è l’esempio di quello che non deve continuare ad essere l’America latina”.
Carlos Montemayor (Messico, 1947) non è solo l’autore di un’ opera narrativa, poetica e saggistica infinita e tradotta in quasi tutte le lingue, vincitore di premi nazionali e internazionali (premio internazionale Juan Rulfo con Operativo en el Trópico, 1994 e premio di narrativa Colima con Guerra en el Paraíso, 1991), membro dell’Accademia Messicana della Lingua e della Reale Accademia Spagnola. E’ anche e soprattutto, un profondo studioso e conoscitore della realtà sociale e politica del suo paese, amante della storia e della tradizione orale indigena e acuto osservatore delle condizioni socio-economiche che scatenano i conflitti civili e armati.
Nominato dall’Ejercito Popular Revolucionario (EPR) mediatore insieme al vescovo Samuel Ruiz, all’avvocato e giornalista Miguel Ángel Granados Chapa, all’antropologo Gilberto López y Rivas e alla senatrice Rosario Ibarra de Piedra, nelle trattative per la riapparizione in vita di due militanti del gruppo armato, scomparsi da Oaxaca il 25 maggio del 2007, Carlos Montemayor ci spiega la sua visione sulle origini dei conflitti sociali nel suo paese e più generalmente sull’uso strumentale che si fa del concetto di terrorismo, soprattutto a partire dall’11 settembre.
Alcuni dei temi trattati nella seguente intervista si possono approfondire nei suoi ultimi libri:
La guerrilla recurrente (Debate, 2007)
Los pueblos indios de México, (Deboslillo, 2008)
AM – Lei è stato invitato dall’Esercito Popolare Rivoluzionario (EPR) alla mediazione che lo stesso gruppo armato ha proposto al Governo messicano il 24 aprile scorso chiedendo la riapparizione con vita dei due militanti dell’organizzazione, scomparsi da Oaxaca nel mese di luglio del 2007. Come mediatore, come valuta l’atteggiamento del governo rispetto a questa negoziazione?
CM - Lo abbiamo già spiegato dettagliatamente nei documenti presentati il 14 agosto scorso. Gran parte delle operazioni intraprese dal Governo Federale per la ricerca dei due militanti dell’EPR scomparsi, non sono state incluse nelle informazioni fornite alla Commissione di Mediazione. Noi mediatori siamo venuti a conoscenza di queste operazioni direttamente dagli incontri che abbiamo avuto in molti settori della società messicana, sia a livello nazionale che regionale.
Quello che a noi è apparso molto chiaramente dopo la consegna dei primi documenti di analisi procedurale e politica il 13 giugno, è che i rappresentanti del Governo Federale hanno rifiutato di considerare come ingiunzioni al Governo le domande e analisi consegnate il 13 giugno. A partire da questa esplicita risposta negativa, la Commissione ha intensificato i suoi incontri, i suoi colloqui con gli ex militanti di organizzazioni come il PROCUP e l’EP, con i familiari degli scomparsi e in modo particolare con la Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) e adesso possiamo dire che esistono elementi sufficienti per affermare che in alcuni ambienti della polizia e in alcuni ambienti politici e militari del Governo messicano esiste confusione sulle possibilità reali della Commissione di Mediazione. Questa confusione deriva dai tentativi che sono stati fatti per stabilire canali di comunicazione con l’ EPR fin dall’anno 2007.
Tanto l’esercito come il CISEN (Centro de Investigación y Seguridad Nacional) hanno cercato infatti di stabilire dei contatti sia tramite i familiari sia tramite pressioni agli ex militanti o ai familiari degli stessi militanti scomparsi. Questo, ha fatto sì che apparisse confusa l’immagine dello stesso Governo Federale nel processo di mediazione. Pertanto, dal 14 agosto scorso, abbiamo sospeso provvisoriamente la mediazione, in attesa della risposta sia dell’ l’EPR che del Governo Federale sulla loro volontà di continuare questo processo.
AM. - Il Governo, nel suo ultimo comunicato stampa del 14 agosto ha accettato definitivamente che si tratta di un caso di sparizione forzata, invece che di un caso di sequestro come è stato affrontato fin dall’inizio. Cosa significa e come agirà la Commissione di Mediazione davanti a quest’ ammissione di responsabilità?
CM. - Non ha nessuna rilevanza questo comunicato. Lo avevamo detto già innumerevoli volte, infatti, sia alla CNDH che all’avvocato che difende i poliziotti di Oaxaca che si trovavano in carcere preventivo, che la nota informativa del direttore del CISEN ci aveva informato che l’inchiesta o almeno uno dei capi d’accusa dell’inchiesta n. 047/2008, era per sparizione forzata di persona ai danni dei due militanti dell’EPR. Questa è soltanto un’ipotesi procedurale, non è una risoluzione giuridica e anche il comunicato del Governo chiarisce perfettamente che si tratta di un ipotesi procedurale e assolutamente non di una verità giuridica dal momento che non rappresenta una sentenza di un giudice.
Così che non sorprende e nemmeno aggiunge nulla, e certamente è una piccola cosa in confronto ai 39 punti della nostra relazione e dell’ annesso tecnico che fanno parte della documentazione presentata al Governo Federale e all’EPR il 14 agosto scorso. Non ha nessuna rilevanza e stiamo aspettando che rispondano, sia il Governo Federale che l’EPR.
AM - Le sparizioni forzate in Messico e più in generale in America Latina rappresentavano la “guerra sucia”. Lo Stato messicano continua dunque a far sparire persone? E come reagisce la società civile di fronte a questo?
CM.- Credo che le uniche conquiste ottenute nel paese contro la sparizione forzata di persone siano venute dalla società civile. Il Governo messicano ha firmato, ha sottoscritto accordi internazionali contro la sparizione forzata, tanto nel seno della OEA come nel seno dell’ ONU. Ciò nonostante non c’è stato nessun adattamento della legislazione nazionale per modificare o applicare istituzionalmente nella Procura della Repubblica o nelle aule dei tribunali questi accordi internazionali. Così che non si è registrato nessun progresso da parte del Governo messicano; non abbiamo avuto nessun punito, nessun processato, e l’impunità persiste ancora oggi, fin dalla guerra sucia. In Messico stiamo vivendo nel segno di un’impunità totale e gli unici cambiamenti che si avvertono vengono dalle organizzazioni civili. La società civile è quella che va avanti, lo Stato messicano è quello che resta indietro.
AM. - Nel suo libro pubblicato recentemente “La guerrilla recurrente” (Debate, 2007), (La guerriglia ricorrente) lei affronta il tema del conflitto politico, sociale e armato in Messico nei suoi differenti aspetti. Perchè “guerriglia ricorrente”?
CM. – Quello che spiego in questo libro, ed è provato, è che periodicamente si verifica un rinascere dei movimenti guerriglieri e che l’analisi ufficiale di questi movimenti è un’analisi errata e incompleta. Si confonde la ribellione popolare armata con i suoi membri propriamente armati, senza considerare nessun nesso con le condizioni sociali. Nella misura in cui in Messico la strategia di Stato pensa soltanto a sterminare fisicamente questi gruppi armati e non a modificare le condizioni sociali, allora in modo ricorrente queste condizioni sociali ritornano a favorire le ribellioni e in modo ricorrente il Governo messicano risponde con lo sterminio o con la distruzione di zone rurali e così momentaneamente i movimenti armati si soffocano ma ricompaiono tempo dopo. Questa periodicità si riferisce allora non soltanto ai sollevamenti della guerriglia ma anche alle strategie sbagliate adottate dal Governo messicano per controllarle.
AM. – Che caratteristiche ha e da dove nasce il movimento armato messicano?
CM - Da molteplici cause. In uno dei miei libri che si chiama “Los pueblos indios de México”, (I popoli indigeni del Messico), passo in rassegna i movimenti armati indigeni dagli anni della conquista fino ai nostri giorni. L’invasione territoriale, l’espropriazione di terre e la violenza istituzionale provocano malesseri sociali che gradualmente vanno aumentando, aumenta la violenza della reazione sociale e questi processi che si scatenano in modo ricorrente sono caratterizzati soprattutto dall’espropriazione di terre. Per esempio nello stato del Chiapas, nella seconda parte del XX secolo, ci fu un flusso migratorio molto importante verso Las Cañadas, nella zona selvatica della Lacandona. In quel momento il Messico aveva una legislazione che permetteva l’insediamento e il riconoscimento dei diritti agrari o dei diritti sui territori non colonizzati a quelle comunità che per ragioni di espansione demografica o che per altri motivi come lo spostamento dai loro territori originari, potevano favorire la riorganizzazione di insediamenti umani. Durante molti anni, sia per ragioni demografiche, che per la costruzione delle grandi centrali idroelettriche nel Chiapas, si ebbero spostamenti significativi di comunità. Il presidente Díaz Ordaz, prima di concludere il suo mandato, emise un decreto presidenziale nell’anno 1969, affinché si legalizzasse e si regolarizzasse la proprietà di terre a più di 40 comunità indigene. Questa fu una buona misura, pragmatica, utile, logica, sensata. Alcune di queste comunità erano insediate in quei territori già da 10, 15 o 20 anni e da tempo ne chiedevano la regolarizzazione, anzi, chiedevano anche maggiori concessioni di terra. Nonostante questo, il decreto presidenziale però non modificò la realtà locale perchè le stesse forze regionali impedirono che avesse effetto. Nel 1972 come se non bastasse, un altro presidente emise un nuovo decreto presidenziale che cancellò il precedente e in questo caso quello che stabilì fu che tutta la selva Lacandona apparteneva a 66 capifamiglia della zona, che dalla sera alla mattina pertanto si trasformano in proprietari e che dalla sera alla mattina trasformarono le comunità che erano insediate lì da 20 anni, in invasori. Stranamente nacque con questo decreto presidenziale, una compagnia forestale, la Compañia Forestal LacandonaS.A. che con prestiti ottenuti dallo stesso Stato messicano patteggiò con i “veri” 66 proprietari lo sfruttamento dei legni pregiati della selva ed ottenne da parte dell’esercito, la cacciata degli “invasori”, cioè delle comunità che da 20 anni stavano aspettando che fossero regolarizzate le loro terre. Questo esproprio di terre produsse la resistenza che si manifestò a partire dal 1972 e che andrà crescendo in quegli stessi luoghi dal 1994 ad oggi . L’ esproprio di terre possiamo dire che è anche all’origine del movimento insorgente di Chihuauhua, Madera, ed è quello che sta succedendo ora con la miniera canadese Minefinders, che sta sottraendo o che sta cercando di sottrarre terre ai contadini di Chihuahua.
Principalmente l’esproprio delle terre è stato il detonante dei movimenti armati in Messico, ma possiamo aggiungere che lo sono stati anche i comportamenti e le ingiustizie notevoli e ricorrenti contro le comunità. O è la sottrazione di terre, di campi coltivati e l’accaparramento di prodotti, o l’oppressione e l’aggressione dello Stato.
AM. – Così nel 1994 esplode il movimento zapatista. Ora sembra aver perso vigore. Ha ancora vigenza?
CM. - Sì, certamente. Non ha perso forza, ha acquistato forza. Quello che ha perso è l’attenzione dei mezzi di comunicazione. Quando gli zapatisti parlavano non li volevamo ascoltare, ma quando stanno zitti, nemmeno li vogliamo ascoltare ma ci domandiamo però perchè non parlano più. Non parlano più primo perchè non sono matti, che parlano quando nessuno li ascolta, secondo non parlano perchè adesso stanno agendo. La loro azione è la materializzazione degli accordi di San Andrés . Le Giunte di Buon Governo nei caracoles sono la risposta politica dello zapatismo alla mancata riforma della Costituzione messicana in materia di diritti delle popolazioni indigene.
Accordi che furono disattesi dal Governo messicano, ma che gli zapatisti già hanno imposto a La Realidad. Questa è una realtà di tutti i giorni, quotidiana; e questo è il consolidamento della struttura politica degli zapatisti. Quando la Commisione di Mediazione alla quale partecipo era in attesa della risposta del Governo Federale per dare inizio alla mediazione e quando la Commissione non aveva ancora iniziato i suoi colloqui, l’attenzione mediatica era estrema, quotidiana. Nel momento in cui la Commissione di Mediazione ricavò informazioni sufficienti da proporre al Governo Federale perchè potesse rispondere a quegli interrogativi specifici, in quel momento, non soltanto il Governo Federale si rifiutò di rispondere ma sparì tutto l’interesse mediatico per la Commissione di Mediazione. C’è un che di familiare in tutto questo.
AM. – Ha ancora ragione di essere la lotta armata nel secolo XXI° o secondo lei è sorpassata?
CM. - Se lo domandiamo agli afgani, ai palestinesi, agli iracheni, o a qualsiasi abitante delle zone conflittuali del Medio Oriente o dell’Estremo Oriente o dell’America diranno di sì. Io non credo che si tratti di considerare i movimenti armati popolari come attuali o sorpassati, ma di comprenderli per quello che sono, e cioè le risposte possibili e sociali a pressioni sociali ricorrenti e ingiuste.
AM. - Nel suo libro prospetta che “nei piani stutunitensi di sicurezza globale si sta cercando sempre più evidentemente di trasformare gli eserciti latinoamericani in proprie risorse nazionali”. Questo non sembra in contraddizione con il fatto che in America latina si sta vivendo una nuova identità caratterizzata da alcuni governi di sinistra o di centro sinistra?
CM. - Non tutti i governi lo sono. Ci sono governi accondiscendenti come quello del Messico in Centro America e anche in Sud America. Non sono la stessa cosa un Governo peruviano con l’attuale Governo boliviano o con l’ attuale Governo venezuelano. Dobbiamo fare chiarezza.
AM. - Con riferimento a quello che dicevamo prima della militarizzazione della regione, verso dove va il Messico?
CM. - Il Messico va verso la distruzione delle proprie forze militari per l’eccessivo impegno dell’esercito in compiti di polizia e di criminalità organizzata. Questo dà inizio a un processo di indebolimento imponente. Nel momento in cui l’esercito messicano sarà totalmente indebolito come sta avvenendo adesso con i corpi di polizia, allora il tema della sicurezza verrà deciso da istanze globali. La strutturazione degli eserciti latinoamericani come forza di complemento e di appoggio nella regione alla politica di controllo globale si fa ogni volta più evidente.
AM. - Quando Hugo Chávez propose all’inizio di quest’ anno il riconoscimento delle FARC come forza belligerante, lei scrisse in un editoriale che bisogna mettere sul tavolo nazionale e internazionale “ il parziale e opportunista concetto di terrorismo”. Che vuol dire con questo?
CM. - Che il terrorismo non è un termine oggettivo ma un termine soggettivo, parziale. Terrorismo è un concetto che si applica soprattutto alle lotte di resistenza sociale giustificate contro le invasioni di paesi o di territori o di occupazioni militari di territori. In questo senso il terrorismo non risponde a un’analisi o a una descrizione della realtà sociale e della realtà politica. Se analizziamo il terrorismo come lo intendono gli Stati Uniti attraverso le produzioni di Hollywood, questo si trasforma nell’associazione di persone malate di mente che vogliono controllare il mondo. In realtà i malati di mente che vogliono controllare il mondo fanno parte dei governi come quello di George Bush o delle multinazionali come la Exxon Mobil o Carlyle o della stessa Hollywood o Halliburton. Questo controllo del mondo provoca resistenze. Ai palestinesi hanno tolto i loro territori, li stanno massacrando, li stanno reprimendo, il minimo che ci si può aspettare dai palestinesi è che si difendano con le armi, gli iracheni li stanno ammazzando e li stanno occupando territorialmente e militarmente, il minimo che ci si può aspettare è che si difendano. Tutte queste resistenze sociali e mondiali vengono chiamate terrorismo. Perchè? Perchè è una forma di svalorizzare i motivi sociali che portano questi gruppi a prendere le armi.
AM. – Infine, le FARC, la guerriglia più antica in America latina. Come valuta il conflitto colombiano?
CM. - Il conflitto colombiano è uno dei processi più chiari di come si può complicare la vita sociale di un paese quando si immettono in processi di crisi sociale, strategie di correzione che poi vanno a produrre un caos maggiore e una polarizzazione sociale maggiore. E’ impressionante l’appoggio che hanno ricevuto tanto dal governo che dalle multinazionali le forze paramilitari. Ma è anche notevole l’appoggio e la penetrazione che è riuscito ad ottenere il crimine organizzato, il narcotraffico nella vita politica economica e sociale del paese. Ed è anche notevole la perdita territoriale che lo Stato colombiano ha avuto durante decenni sia per spostare e concentrare la violenza di paramilitari e guerriglieri che quella tra paramilitari e narcotrafficanti. Ma è anche notissima la subordinazione del governo colombiano alle necessità e alle ordinanze militari degli Stati Uniti. Le FARC sono una minima parte del complesso conflitto colombiano. La Colombia è un esempio di come non deve continuare ad essere l’America Latina.
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