Dedico la vittoria al mio popolo
TE QUEREMOS, PRESIDENTE!
Hugo Chávez ha dedicato la sua vittoria al popolo. Al suo popolo, a quel popolo che in queste ore sta ballando e cantando per le strade festeggiando la sua speranza e il suo futuro. Quel popolo che Omero Ciai dalle pagine di La Repubblica con l’arroganza di chi è servo del potere e non capisce cosa sia l’orgoglio civile, non esita sfacciatamente e senza vergogna a chiamare “sussidiato e fannullone”. Quel popolo a cui non importa nulla se, come il buon giornalista fa notare, Hugo Chavez troppo impegnato a “costruire la sua immagine di leader di un nuovo e in gran parte indefinito, socialismo planetario” ha dimenticato di ricostruire un ponte per cui da Caracas all’aeroporto si impiegano tre ore. A quel popolo non importa di arrivare all’aeroporto perché forse prendere un aereo è un lusso ancora troppo lontano ma festeggia il suo presidente perché i suoi figli, i figli del popolo, hanno di che curarsi gratuitamente e probabilmente avranno un futuro migliore dei loro genitori in quanto l’istruzione è diventata un’opportunità, per tutti a differenza di quanto avveniva in passato. E probabilmente grazie a quest’opportunità un domani avranno un lavoro che permetterà loro di prendere un aereo. Dalle parole del buon giornalista: “La maggioranza reale del paese, ossi i poveri, sono chavisti perché in questi anni hanno avuto le “misiones”, scuola e sanità gratuite, il piccolo credito e le regalie a fondo perduto.” (ti pare poco in America Latina, Ciai?)…”Vivono come prima (mica tanto, i bambini non muoiono più di dissenteria, studiano e mangiano pure perché a scuola hanno tre pasti assicurati), senza prospettiva di trovare un lavoro (ma l’istruzione a cui hanno adesso sì diritto non permetterà loro di trovare un lavoro in futuro?) ma un po’ meglio perché nessuno gli chiede neppure di pagare la luce e l’acqua”. Insomma, vivono come prima o un po’ meglio? La risposta nel risultato elettorale e negli occhi del popolo venezuelano. “E allora lunga vita a Chavez. Ce ne fossero.” (Per dirla con Maurizio Matteuzzi de Il Manifesto.)
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