di Alessandro Robecchi
Poche righe in cronaca, e nemmeno su tutti i giornali, per l’anziana signora che ha ridotto in schiavitù la badante rumena a Lainate (Milano). A differenza dei delinquenti stranieri (di cui si pubblica nome e cognome), e a differenza dei rapinatori italiani (di cui si pubblicano le iniziali), della signora schiavista non si sa nulla, se non l’età avanzata, 75 anni, e la dignitosa semiricchezza dell’abitazione, una villetta. E così, volendo usarla come metafora, un nome glielo devo trovare io, e la chiamerò Italia. Dunque, la storia: Italia è vecchia. Italia vuole qualcuno che la accudisca essendo i giovani d’Italia incapaci di accudire i vecchi, o svogliati, o scontrosi ed avendo Italia servizi sociali inesistenti. Italia si serve di mano d’opera straniera. Ma Italia fa in modo che questa mano d’opera straniera non conosca i suoi diritti, che sia sfruttata e terrorizzata. Italia non la paga e la ricatta con l’incubo dell’espulsione o dell’arresto. Italia le fa fare la doccia fredda, una volta al mese. Italia le dà da mangiare i suoi avanzi. La rinchiude in un seminterrato. Italia spende poco per pagare la straniera che lavora per lei, ma spende molto in tecnologia per il controllo e la repressione: telecamere a circuito chiuso e addirittura sensori acustici per conoscere i movimenti della sua schiava. Italia usa parole come “serva” e frasi come “è solo una rumena”. Italia ha vicini di casa che conoscono la situazione, ma stanno zitti, perché sono italiani anche loro, complici, in qualche modo figli d’Italia. Il capitano dei carabinieri intervenuto ha descritto bene Italia: “Un mix di cattiveria, ignoranza e razzismo”. Forse qualche mese fa, osando un po’, avrei potuto chiamarla Padania, ma oggi non ho dubbi sul nome da dare alla vecchia schiavista: Italia le sta benissimo, ci canta, per così dire. E non capisco cosa aspettino i governanti d’Italia e la loro melliflua opposizione, a recarsi in blocco fuori dalla villetta di Lainate a intonare qualche canto corale. Per esempio Fratelli d’Italia. Che diamine, un po’ di coerenza!
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