E’ inevitabile e doveroso oggi, all’indomani del risultato elettorale, interrogarsi sul proprio ruolo, sul proprio posto nella società, su quello che ad essa si chiede e su ciò che si è disposti a dare.
Lo faccio e mi trovo più confusa che mai. Ma non è confusione data da incertezza, per carità . E’ solitudine. Quel guardarsi intorno e rendersi conto che nessuno ha da offrirti, o è nelle condizioni di poterlo fare, quello che tu chiedi e a nessuno ti senti più di concedere le tue energie, le tue risorse.
Sono questi i miei sentimenti oggi. E’ questo che mi ha lasciato il “voto utile”. Mi ha lasciato una grande amarezza aver votato solo per non far tornare Berlusconi. Un voto sterile, senza entusiasmo, senza crederci, un voto senza bandiera. che alla fine si è dimostrato anche un voto inutile.
Un voto che oggi lascia un senso di solitudine. Perchè io nel PD non ci credo e non ci ho mai creduto. Perchè per me la sinistra ha il colore rosso del fuoco vivo e non le tinte sbiadite dai ripetuti lavaggi dei compromessi. Perchè per ,me la guerra è sempre stata senza se e senza ma; perchè io gli americani non ce li voglio, nè a Sigonella, ma nemmeno a Vicenza; perchè ho combattuto una volta per il nucleare e non ho intenzione che quel referendum, al quale nel mio piccolo ho lavorato, venga rimesso in discussione; perchè per me l’aborto è un diritto della donna e non posso credere che la “mia” sinistra possa pensare di governare un paese insieme a chi nel nome di Dio o di un cristo qualsiasi vada in giro a criminalizzare chi decida di usufruire di una legge che già troppe battaglie è costata.
Mi sento senza una casa, ecco. Ma è un viaggio senza meta iniziato da molto tempo e non so fino a che punto questo coincide, come spesso mi sento dire, con la maturità, con gli innumerevoli impegni, con i figli e i problemi quotidiani di ogni giorno che a volte ti tolgono anche la forza di pensare e di immaginare un futuro migliore.
Ti ritrovi a coltivare il tuo orticello, è vero, molto spesso, anzi quasi sempre da sola, vivi giorno dopo giorno avendo perso l’entusiasmo della giovinezza, quando era bello scendere per strada con una bandiera in mano e crederci veramente.
La gioventù e la politica, quando lottare per qualcosa aveva senso. Da grande ti ritrovi a lottare per sopravvivere.
Volgi poi lo sguardo lontano e ti accorgi che è più facile lottare per la Colombia o per il Messico che non per i morti della Thyssenkrupp. Partecipi con loro, con gli amici colombiani, messicani, alle loro battaglie, alle marce, perchè lì ha ancora senso.
Loro hanno bisogno che il mondo sappia, loro lottano di là e tu di qua, facendo informazione, per aiutarli, perchè muoiono da troppi anni.
Per loro ti senti utile.
In Italia è difficile sentirsi utili. Non serve esserlo, non serve a nessuno.
Mi interrogo in questi giorni chiedendomi cosa si può fare ancora per questo paese, cosa che non sia stato già fatto o sia stato già detto.
Cosa voglio io e cosa vogliono i miei compagni?
Quelli persi per strada, quelli imborghesiti, quelli incazzati, quelli amareggiati e delusi, quelli morti e quelli vivi ma soli.
Vogliono, vogliamo poter tornare a fare politica come una volta. Che scendere per strada non sia un conteggio di presenze o una giostra di recriminazioni. Vogliamo la politica nei quartieri e nelle scuole. Politica nei bar e nelle sezioni di partito.
Politica vissuta e partecipata. Politica sentita e non fuggita. Politica di strada, di quartiere e non di palazzo.
Vogliamo che la politica, la nostra politica, quella per cui abbiamo lottato e sofferto, forse l’unica che conosciamo, quella “ideologizzata” che fa tanto paura, a destra come anche a sinistra, torni nelle nostre vite forse perchè siamo stanchi di esserne spettatori passivi.
Da domani vogliamo anche partecipare.