Ho seguito l’intervento di Guido Piccoli nell’ambito di CONTROMAFIE- STATI GENERALI DELL’ANTIMAFIA, (17/18/19 novembre) convegno nazionale promosso a Roma presso la sede della CGIL, da LIBERA l’organizzazione che riunisce il cartello di associazioni antimafia nato nel 1995 e costituita e presieduta da Don Luigi Ciotti.
Guido, che a mio avviso si distingue per essere una delle poche voci “fuori dal coro” dei luoghi comuni e delle banalità, oltre che delle menzogne che circondano la Colombia e le sue vicende, ha affrontato l’aspetto del narcotraffico e dei fenomeni ad esso legati relativamente al paese latinoamericano di cui è profondo conoscitore.
La Colombia e soprattutto i colombiani infatti, oggi più che mai hanno bisogno di verità, perché solo la verità e la denuncia sistematica di quanto accade in quel paese, riusciranno a spezzare quella catena di violenza e di barbarie in cui quel popolo vive da più di 50 anni.
Come fa ben notare Guido infatti, se è vero che le tragiche vicende dei desaparecidos cileni o argentini hanno raccolto giustamente la compassione e la solidarietà mondiale, è pur vero che quegli avvenimenti sono stati circoscritti agli anni delle dittature; molto poco e raramente si parla invece di tutti quei desaparecidos colombiani che numericamente parlando forse sono anche di più di quelli cileni o argentini ma la cui tragedia, silenziosamente, lentamente e sistematicamente si consuma nel silenzio globale da mezzo secolo a questa parte cioè da quando in quel paese è iniziato il conflitto civile e che non è mai più terminato.
Sì tutto questo accade ancora infatti sotto gli occhi di tutti, nel governo “democratico” di Álvaro Uribe. Perché si parla di Colombia sempre come di un “paese democratico”. Perché in Colombia si tengono elezioni, perché esistono i partiti politici, anche quello Comunista, perché formalmente non si è mai avuto un colpo di stato e perché non girano carri armati per le strade. Ma basta questo per fare della Colombia un “paese democratico”? Agli occhi del mondo sì. Ma la “democratica” Colombia ha il suo “democratico” presidente, Dr. Álvaro Uribe Vélez, notoriamente colluso con il narcotraffico, figlio di Alberto Uribe Sierra noto trafficante che fu arrestato e poi rimesso in libertà, Uribe fu colui il quale tra l’altro legalizzò gli emergenti gruppi paramilitari dandogli una struttura sociale (“Las Convivir”). Egli vinse “democraticamente” le elezioni presidenziali del 2002 grazie alle frodi organizzate da Jorge Noguera (ex console a Milano e allora capo del DAS, la polizia segreta colombiana) con l’appoggio tinto di sangue dei paramilitari. Affermare che Álvaro Uribe sia un narcoparamilitare sembra però oggi ancora eccessivo. Ricordo tempo fa per esempio, che questa mia affermazione in una discussione su di un blog frequentato tra l’altro da buoni conoscitori della realtà latinoamericana incontrò qualche critica. Purtroppo questa è la realtà dimostrata nei fatti e per fortuna sempre più evidente anche alla luce degli ultimi scandali che hanno sconvolto l’apparato della politica e della giustizia in Colombia. Guido Piccoli non ha remore a chiamare Uribe paramilitare perché la realtà colombiana la conosce molto bene e per chi come lui la conosce bene, non può che stridere la diversa attenzione per esempio che richiamano sulla comunità internazionale, le elezioni in altre regioni latinoamericane. Le elezioni in Venezuela sono senz’altro più limpide e corrette di quelle colombiane, ma mentre in Colombia, fa notare Guido, i pochissimi osservatori internazionali vengono ospitati negli alberghi di lusso di Bogotà e non vengono inviati invece nelle zone rurali dove maggiormente imperversano i paras e i loro metodi persuasivi, il Venezuela (e accadrà anche il prossimo 3 dicembre) viene invaso da osservatori internazionali dislocati in tutto il paese. L’aspetto secondo me fondamentale che si è chiarito, in quanto rispondeva proprio ad una domanda che avrei voluto rivolgere a Guido è stato quello della distinzione tra narcoparamilitarismo e narcoguerriglia. Se del primo fenomeno, complici i media colombiani legati alla classe politica, si parla molto poco , il secondo viene sempre strumentalizzato, da una parte dal governo colombiano che legittima così un uso improprio ed eccessivo della forza e della repressione militare, e da un’altra parte dagli Stati Uniti i quali giustificano in questo modo l’enorme sforzo economico e militare rappresentato dal Plan Colombia che si vende come “un vasto programma per la pace, la prosperità e il rafforzamento dello Stato”, ma che in realtà rappresenta il più grosso sistema di controllo del suo cortile di casa. Mentre i paras gestiscono la parte finale dell’intero processo di produzione della droga dove gli introiti sono ben maggiori e maggiori sono anche i legami e le coperture necessarie tra le forze politiche e di polizia, la guerriglia controlla la fase iniziale del processo produttivo (dove i guadagni sono minori) , nel senso di tassare le coltivazioni ai contadini come d’altra parte fa però con qualsiasi altra attività che rientri nei territori da essa controllati. Anche le politiche di produzioni alternative alla coca che vengono ampiamente promosse dall’ Unione Europea si sono dimostrate essere un totale fallimento, affinché queste abbiano successo è necessario infatti, che ci sia una vera riforma agraria con un’equa distribuzione della terra, ma per far ciò bisognerebbe cambiare le politiche internazionali e soprattutto l’atteggiamento verso quei paesi come il Venezuela che effettivamente stanno attuando una redistribuzione sociale delle terre.
Lo stesso questore di Bolzano esperto in narcotraffico globale e che ha tenuto nella stessa mattina un lungo e interessante intervento sulla criminalità legata al traffico di stupefacenti, ha concluso con una nota di pessimismo, purtroppo il traffico di droga produce un’immensa quantità di danaro e dietro ad esso si celano interessi oltre che economici, anche politici e di controllo mondiale.
Il punto di partenza potrebbe essere intanto proprio quello di raccontare la verità.
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