E’ noto ormai che la Colombia trova spazio sulle pagine de La Repubblica solo quando fornisce occasione per parlare di Ingrid Betancourt o di Gabriel García Márquez.
Omero Ciai è stato inviato in Colombia dal quotidiano per il quale lavora, per il ritorno di Gabo nella sua Arataca -Macondo, dopo un’assenza del premio Nobel dalla sua città natale durata ventiquattro anni.
Evviva! Finalmente l’occasione giusta per i lettori de La Repubblica di conoscere un po’ della realtà e della lunga guerra che tormenta un paese dimenticato da tutti.
Invece no!
Con tutto quello che accade laggiù ci si sarebbe aspettato uno sforzo giornalistico un po’ più serio del “reportage” del 31 maggio. Non metto in dubbio che sia più rilassante e divertente leggere del viaggio in trenino dell’anziano e fin troppo silenzioso Gabriel García Márquez piuttosto che la cronaca di tutte le quotidiane tragedie che i colombiani vivono sulla propria pelle.
Un accenno però, anche minimo, almeno per inserire il “reportage” in una situazione politica e sociale più chiara, (visto che comunque La Repubblica non lo fa mai), alla parapolitica, alle confessioni (che stanno togliendo il sonno a Uribe) di Salvatore Mancuso, ex capo delle AUC (Autodefensas Unidas de Colombia, un corpo paramilitare di estrema destra), prima notizia in quei giorni in Colombia e in America latina, credo fosse stato doveroso.
Probabilmente i lettori abituali di La Repubblica non sanno nemmeno, perché nessuno glielo dice mai, che in Colombia un ex capo paramilitare, Salvatore Mancuso, nostro connazionale, calabrese per l’esattezza, “signore della coca”, “signore della guerra” e il più potente narcotrafficante colombiano, nonché capo delle AUC, al momento è in carcere e oltre ad aver confessato 55 omicidi e 6 stragi sta rendendo tutta una serie di dichiarazioni che testimonierebbero la collusione dei vertici del governo colombiano con il paramilitarismo.
Stanno accadendo cose terribili in Colombia, la violenza a questo punto sembra essersi irrimediabilmente incancrenita e non c’è un settore della società che ne sia immune.
Ci sono stati recenti e massicci scioperi dei maestri e degli studenti universitari, con l’occupazione di molte università, la situazione dell’infanzia è terribile, tanto che negli ultimi due mesi solo nel Chocò, per la “disattenzione” delle locali autorità, la denutrizione ha ucciso 37 bambini e sempre nel Chocò nel corso di un desalojamiemto (sgombero), tre bambini indigeni sono stati gettati nelle acque del Río San Juan da membri dell’ESMAD le squadre mobili antisommossa della Polizia Nazionale e i loro corpi ancora non sono stati recuperati.
Siamo a questo punto talmente in malafede da chiederci come mai le limitate proteste delle università private contro Chávez trovano spazio sui nostri mezzi di informazione e invece nessun accenno alle grandi proteste degli studenti universitari in Colombia, tra l’altro duramente represse dalla polizia? Nell’Università Nazionale a Bogotà a fine maggio si è tenuto l’Incontro Nazionale Universitario al quale hanno partecipato studenti di 24 università pubbliche e 8 università private per denunciare il controllo di stampo fascista del governo di Uribe nelle facoltà, le continue minacce a cui è sottoposto il movimento studentesco, la detenzione arbitraria e la tortura di alcuni leader dello stesso.
Di tutto questo non un accenno sul “reportage” de La Repubblica.
Delle favelas colombiane ne immaginiamo vagamente l’esistenza perché Omero Ciai ne descrive i contorni che sfuggono insieme al resto del paesaggio dietro ai finestrini del treno. Egli non si degna nemmeno per un attimo di scendere la treno e fare quello che la sua professione richiederebbe. Indubbiamente è stato molto più comodo proseguire il viaggio con Gabo….
Delle proteste dei maestri ne troviamo un vago riferimento quando il trenino lascia il porto di Santa Marta dal quale è partito alla volta di Arataca e incontra migliaia di maestri che lanciano un vano appello a Márquez affinché sostenga la loro causa.
La Colombia sembra lontana anni luce in questo reportage e i colombiani sembrano comparse uscite da un depliant delle vacanze, gli uomini a torso nudo, qualcuno “perfino” in bermuda, ragazze che ballano la cumbia e anche una gentile bambina che aiuta il nostro Ciai ad allacciarsi le scarpe.
La Repubblica non scrive mai di Colombia, come scrive troppo poco e male di Sud America e proprio per questo poco, verrebbe a questo punto da domandarsi: ma veramente La Repubblica ha spedito fin laggiù un suo inviato solo per questo?
E la società, il popolo, la fame, i bambini, la Colombia, davvero è stata sprecata un’occasione così per farceli conoscere?
No, che dite…
La Repubblica qualche giorno dopo, il 4 giugno, ci delizia con un altro brillante “reportage” dal titolo : “Colombia, caccia al bimbo della giungla”.
Orbene in questi giorni in Colombia e non solo c’è un gran rumore intorno alla presunta liberazione di Ingrid Betancourt . E ‘ una notizia importante che però va osservata e letta tenendo sempre ben presente il “realismo magico” che permea il paese ed i suoi avvenimenti, soprattutto quelli che coinvolgono direttamente il presidente Uribe. Con tanto da dire, tanto da approfondire sull’argomento, rapporti diplomatici in ballo, ora più tesi ora meno tra Francia a Colombia, l’annuncio a sorpresa di Uribe dell’ imminente liberazione della Betancourt e le sue reali ripercussioni sulla politica e sulle trattative di pace in Colombia, l’articolo di Omero Ciai sembra la versione colombianizzata della leggenda di Tarzan, il re delle scimmie. La storia di questo bambino, figlio dell’amica del cuore di Ingrid Betancourt rapita insieme a lei nel 2002, Clara Rojas e di un guerrigliero fariano.
Secondo John Pinchao Blanco, militare anch’egli prigioniero delle FARC che guarda caso è riuscito a fuggire dallo stesso campo di prigionia della Betancourt e della Rojas dopo circa nove anni di prigionia, “il padre del bambino è stato trasferito in un’altra zona , oppure è stato ucciso perché il metodo delle FARC è impedire qualsiasi intimità tra gli ostaggi e i guerriglieri che li vigilano, impediscono anche alla mamma di vedere suo figlio perché sono loro che si occupano della sua crescita e della sua educazione”.
Poi Omero Ciai si sofferma sui pericoli che corre questo bambino in piena foresta colombiana “sottratto ai genitori e tenuto prigioniero in una giungla dove insieme alle malattie, dal tifo all’epatite, rischia (udite! udite!) la denutrizione cronica.”
Ancora una volta mi viene spontanea la domanda, la Colombia, in questo romanzetto esotico, dove sta? dove stanno i Colombiani? dove stanno i 37 bambini morti di fame (morti di fame Sig. Ciai, non malati di denutrizione cronica) negli ultimi due mesi?
E’ tutta la realtà di un paese che viene travisata nel breve “reportage” dell’inviato Omero Ciai.
La storia di Emmanuel il “bimbo della giungla”, si legge, avrebbe colpito al cuore i colombiani e così Uribe avrebbe imposto come priorità la liberazione della Betancourt.
Un Uribe in difficoltà sia per le pressioni di Sarkozy sia per (e qui veramente si raggiunge la mistificazione) un “paio di scandali”. Omero Ciai ancora una volta preferisce di gran lunga scopiazzare un paio di notizie di cronaca invece di fare il suo mestiere e approfondire gli argomenti con arguzia e perspicacia.
Ciai finalmente accenna brevemente a Mancuso, sfocandone i contorni e le dimensioni del suo collaborare con la giustizia e al fatto che Washington minaccia di ridurre gli aiuti alla Colombia per lo scarso impegno nella lotta alla produzione di droga.
Questi sarebbero il “paio di scandali”. Uribe in realtà sta praticamente annaspando in un mare di letame, che rischia di ingrossarsi sempre di più e di travolgerlo. Salvatore Mancuso è un fiume in piena e le sue dichiarazioni coinvolgono personaggi che occupano i settori più diversi del paese, dai sindaci ai governatori, dai deputati ai banchieri, fino ad alcuni generali, all’ex capo della polizia Rosso Josè Serrano, arrivando al vice presidente Francisco Santos (che mentre Mancuso lo accusava era ricevuto in Italia con tutti gli onori da D’Alema in un incontro da egli stesso definito “proficuo e significativo”), e all’attuale ministro della difesa Juan Manuel Santos (cugino di Francisco e appartenenti alla potente famiglia Santos proprietaria del quotidiano El Tiempo), nonchè all’ambasciatore colombiano a Roma Sabas Pretelt de La Vega.
In questo periodo in Colombia grazie alle dichiarazioni di Mancuso e di altri paramilitari che stanno collaborando con la giustizia, decine e decine di fosse comuni vengono individuate e ciò che rimane dei resti di coloro che furono barbaramente trucidati dai paramilitari che altro non facevano che seguire la “politica dello stato” come lo stesso Mancuso ha dichiarato, riesumati e identificati. La Colombia sembra non uscire dall’orrore in cui è si trova ormai da 50 anni e Ciai scrive di un “paio di scandali”.
Uribe resta lì al suo posto, quasi per miracolo, le strade del crimine convergono verso di lui, poi come per magia lo sfiorano e per La Repubblica non è altro che un presidente in difficoltà che però è stato toccato dalla storia del bimbo nella giungla e che quindi fa di tutto per liberarlo insieme agli altri ostaggi.
Suvvia, è talmente evidente che l’annuncio della liberazione di Betancourt è l’ennesima mossa di un uomo che sta giocando tutte le carte che gli sono rimaste per diluire l’attenzione dei media sugli scandali che lo coinvolgono sempre più da vicino, che l’articolo di Ciai non può che strappare un sorriso a chi è abituato ad informarsi altrove.
Leggi La Repubblica e vieni a conoscenza che “200 guerriglieri delle Farc sono stati concentrati nella prigione di Chiquinquira e verranno liberati con un indulto presidenziale nelle prossime ore”. Tra gli ostaggi ci sarebbe Rodrigo Granda, arrestato a Caracas nel 2004 e considerato il ministro degli esteri delle Farc. Granda, la cui liberazione è stata richiesta dal ministro degli Esteri francese Kouchener, potrebbe fare da intermediario per la liberazione della Betancourt.
Tutto starebbe nelle sue mani dunque, e tutto dipenderebbe dal fatto che accetti o meno la liberazione.
Non un accenno al fatto che le FARC e Rodrigo Granda in prima persona (il quale è stato liberato il 5 giugno scorso) respingono fermamente l’ulteriore farsa di Uribe e fanno sapere che i duecento detenuti che dovrebbero essere liberati in realtà sono “disertori” o “traditori” o “delinquenti comuni” e in nessun caso militanti fariani. Granda in un’intervista rilasciata al giornalista colombiano Germán Silva Losada fa sapere che è stato liberato per le pressioni esercitate dal presidente francese Sarkozy e che comunque la necessaria condizione urgente è la smilitarizzazione (ipotesi sempre respinta da Uribe) dei municipi di Florida e Pratera, dove si possano incontrare tutte le parti per definire lo scambio.
In questa vicenda confusa e tutt’altro che in via di definizione, perfino l’altro gruppo guerrigliero colombiano, l’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale) non sempre in accordo con la politica delle FARC, tramite il Comando Centrale, invita tutti i prigionieri politici dell’ELN nelle carceri colombiane a solidarizzare con i prigionieri fariani per “respingere insieme le manovre del governo”.
Il pressappochismo e la superficialità fatti giornalismo, dove mancano approfondimenti, dove non si capisce come mai la reale portata delle notizie viene svilita a favore di un sensazionalismo di bassa lega che inevitabilmente finisce per penalizzare l’informazione critica e rivolta al sociale e alla dimensione umana del paese.
Ovviamente è più “facile” leggere della “caccia al bimbo della giungla” e del viaggio di Márquez sul trenino verso Macondo, ma poi ci perdonino La Repubblica e Omero Ciai se le notizie, quelle vere, ce le andiamo a cercare altrove.
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