"Oggi stiamo parlando, domani potremmo essere morti"
Luis Eduardo Guerra 15 gennaio 2005
Lo scorso mese di febbraio, a Roma, si sono tenute varie iniziative volte a ricordare i due anni del massacro di San José de Apartadó in Colombia avvenuto il 21 febbraio 2005. Una di queste iniziative, ha previsto un sit-in davanti all’Ambasciata colombiana, proprio il 21 febbraio, per chiedere la fine dell’impunità e il rispetto del “diritto di distinzione” della popolazione civile dagli attori armati. Durante questa manifestazione è stata consegnata all’ambasciatore colombiano una lettera indirizzata al Presidente della Colombia Alvaro Uribe.
Il 23 febbraio invece, nella Sede del Parlamento Europeo si è tenuta la tavola rotonda dal titolo “El día en que lo iban a matar!" (Il giorno che lo avrebbero ammazzato) in cui è stato presentato il rapporto dei magistrati di MEDEL (Magistrati Europei per la Democrazia e le Libertà) sui fatti del massacro del 21 febbraio 2005.
Presenti: Luis Fernando Martinez Zapater, magistrato MEDEL,(autore del documento), On. Vittorio Agnoletto, Andrea Proietti Presidente di Colombia Vive!, ha coordinato l’incontro Guido Piccoli, scrittore e giornalista.
Questa ne è una breve relazione:
Intervento di Andrea Proietti Presidente di Colombia Vive!
Colombia Vive! è un’associazione nata a Narni (Tr) il 16 giugno 2006, con lo scopo di rafforzare l’impegno della Rete Italiana di Solidarietà con le Comunità di Pace colombiane, costituitasi, sempre nella città di Narni il 13 maggio 2003 per iniziativa di vari enti locali ed associazioni italiane che da tempo stavano realizzando attività di solidarietà con alcuni processi di resistenza civile non violenta alla guerra e allo sfollamento forzato realizzati nella Regione di Urabá e nel Dipartimento del Chocó (Colombia).
Andrea Proietti ha ricordato durante questa tavola rotonda il lavoro svolto in questi due anni dai giudici spagnoli per la Comunità di Pace di San José di Apartadó.
È stato un lavoro importante soprattutto perché a un certo momento i membri della Comunità di Pace si sono rifiutati di collaborare con le autorità giudiziarie colombiane. Questa sotto un certo punto di vista è stata una scelta che ha complicato non poco sia la situazione generale sia il lavoro degli stessi magistrati di MEDEL, ma è stata anche una scelta obbligata in quanto in Colombia è noto che i testimoni diventano spesso delle vittime.
Proprio lo stesso giorno in cui si è tenuta la tavola rotonda tra l’altro, è giunta la notizia che la Fiscalía colombiana sta indagando su 56 militari della Brigata XVII la quale è direttamente coinvolta nel massacro degli otto membri della Comunitá (tra i quali tre minori) di cui, ricordiamolo, inizialmente furono accusate le FARC. I militari dovranno rispondere in giudizio per i delitti di omicidio e di terrorismo.
Ricorda Andrea Proietti di come rimase colpito e impressionato dal Generale Zapata della XVII Brigata, che fu quella direttamente implicata nel massacro, alla quale non a caso gli Stati Uniti hanno tolto i finanziamenti a causa delle violazioni dei diritti umani commesse e per al loro responsabilità nella strage di Apartadó. Il generale fu scortese e aggressivo con la delegazione italiana di cui faceva parte tra gli altri anche l’Onorevole Vittorio Agnoletto. Cercò di screditare il loro lavoro e cercò di convincerli che la Comunità di Pace in realtà era una comunità di guerriglieri e che Luis Eduardo Guerra fu ucciso dalle FARC in quanto avevano scoperto che collaborava con l’esercito regolare.
Intervento di Guido Piccoli – scrittore e giornalista
La Colombia attualmente sta vivendo un momento politico molto particolare.
Una parte del potere colombiano si sta rendendo conto che al suo interno è cresciuto di pari passo un potere mafioso e paramilitare che in parte trova rappresentanza nella figura del Presidente della Repubblica.
Si sta verificando in Colombia uno scontro tra il potere oligarchico tradizionale e quello paramilitare.
Questo momento potrebbe preludere ad un nuovo e cruento bagno di sangue. Il paramilitarismo infatti, probabilmente non si farà mettere da parte tanto facilmente, ma rispetto al passato sono emerse forze politiche diverse in grado di rappresentare una speranza per il Paese, tra le quali il Polo Democratico, i cui senatori però rischiano quotidianamente la loro sicurezza per il loro impegno politico.
Il cerchio intorno a Uribe sembrerebbe chiudersi lentamente e il Presidente appare sempre più isolato, tutte le figure dietro alle quali si è nascosto di volta in volta, stanno cadendo infatti nelle maglie della Fiscalía.
Intervento di Luis Fernando Martinez Zapater magistrato MEDEL.
Il giudice Zapater presenterà in questa occasione il rapporto che è stato realizzato circa un anno fa.
Innanzitutto fa presente che è la prima volta che MEDEL (organizzazione di magistrati progressisti dell’UE) in circa 20 anni di attività realizza un lavoro di questa portata. L’obiettivo del rapporto consisteva nel raccogliere le testimonianze relative ai fatti del 25 febbraio 2005 e a confrontarsi con le autorità colombiane che stavano indagando su quegli avvenimenti.
I primi giorni trascorsi in Colombia servirono per raccogliere le testimonianze direttamente sul luogo, successivamente ci fu un incontro con le autorità di polizia sia della zona di San José de Apartadó che di Bogotà.
Non fu possibile proporre una azione giudiziaria in Spagna o nell’ambito dell’ Unione Europea ma comunque fu possibile, questo sì, far conoscere all’opinione pubblica quanto accaduto il 25 febbraio del 2005.
Furono raccolte testimonianze dei fatti accaduti quel giorno e anche dei giorni successivi da circa 10/12 persone appartenenti alla Comunità di Pace. Il 1 aprile 2005 la polizia entrò a San José de Apartadó ma il 17 novembre 2005 fu ucciso Arlen Salas David leader della Comunità, il 12 gennaio 2006 Ediberto Vasquez e il 4 marzo 2006 Nelly Johanna Durango tutti omicidi compiuti da alcuni militari della Brigata XVII.
I membri della Comunità di Pace in seguito ad un nuovo sfollamento hanno fondato un nuovo villaggio, San Joselito Lugar de Dignidad. La delegazione italiana durante la sua missione a San Josè de Apartadò affrontò anche questi nuovi episodi con il capo della polizia, il quale espresse la versione del governo colombiano e cioè che la Comunità di Pace era relazionata alla guerrilla o per lo meno lo erano i suoi leader.
La delegazione italiana cercò anche di ottenere un colloquio con il capo della Brigata XVII ma al momento stabilito dell’incontro egli non si fece trovare, il suo sostituto fornì un indirizzo mail al quale contattarlo che in seguito si scoprì che essere inesistente.
Fino ad un anno dopo del massacro, la versione ufficiale dell’esercito, riportata anche nel sito web era che in zona il 25 febbraio non si trovavano truppe e che Luis Guerra era stato assassinato dalle FARC in quanto era un guerrigliero che collaborava con il governo.
Tutte le testimonianze raccolte risultarono fondate e non contraddittorie ed emerse anche il senso di sfiducia che la Comunità aveva nei confronti delle autorità.
Questa sfiducia ha fatto in modo che la Comunità si rifiutasse di collaborare con la Fiscalía, fu contattata allora l’Unità per i Diritti Umani della Fiscalía nella persona del Sig. Carlos Franco, direttore del programma presidenziale dei diritti umani e l’alto commissariato dei Diritti Umani in Colombia e fu riconosciuto che a nessuna delle violazioni dei Diritti Umani precedentemente denunciate era seguita una condanna. La Comunità dall’anno 2000 (come riscontrabile anche dal sito della Corte Interamericana del Diritti Umani) aveva richiesto e ottenuto l’adozione di misure cautelari per proteggere la loro incolumità.
Lo Stato colombiano, facendo parte della Corte Interamericana dei Diritti Umani era tenuto a prendere atto di questo e e farne partecipe ai membri della Comunità, ma così non fu.
Tra il Governo, nella persona del Sig,. Carlos Franco e i membri della Comunità erano avvenuti solo degli incontri per stabilire l’eventuale adozione di qualche misura di sicurezza e si era giunti ad un accordo per stabilire un posto di controllo della polizia fuori dal centro urbano di Apartadò.
Uno dei relatori di questi incontri era Luis Eduardo Guerra. L’ultima riunione si tenne nel gennaio del 2005, circa un mese prima del massacro.
Il 1 aprile del 2005, per ordine diretto del presidente Uribe, la polizia si stabilì nel centro di Apartadò, costringendo circa 300 persone a “desplazarse” in un centro vicino alla comunità a cui fu dato il nome di San Joselito.
Tutto ciò nonostante la Corte Costituzionale colombiana, (a seguito delle pressioni e delle misure previste dalla Corte Interamericana per i Diritti Umani), con una sentenza del 2004 con la quale aveva riconosciuto i diritti alla protezione della Comunità, aveva stabilito degli obblighi per al Brigata XVII, e aveva riconosciuto altresì il diritto dei membri della Comunità di partecipare con lo Stato nelle decisioni adatte al perfezionamento delle misure di sicurezza.
Il rispetto dei diritti fondamentali dei membri di Apartadò fu affidato alla responsabilità del Comandate della Brigata XVII la quale era responsabile anche di eventuali violazioni commesse da estranei. Questa sentenza fu resa pubblica 10 mesi prima del massacro e adesso è sulla base di questa che la Fiscalía sta indagando sull’operato della Brigata XVII.
La Comunità di Pace negli anni addietro aveva portato avanti azioni internazionali e davanti alle autorità colombiane, aveva stabilito rapporti con l’ufficio dell’Osservatorio per i Diritti Umani in Colombia e con la Difensoría del Pueblo, alla quale ripetutamente aveva chiesto che inviasse un suo delegato ad Apartadò ma questa presenza fu concessa solamente un mese dopo il massacro e divenne in seguito l’unica persona rappresentante dello Stato colombiano con la quel i membri di Apartadò mantennero contatti.
L’indagine a un certo punto si bloccò a causa della mancanza di collaborazione della Comunità e a causa della scomparsa del testimone che nel momento del massacro accompagnava Luis Eduardo Guerra.
I giudici spagnoli allora si confrontarono con la difficoltà che esite in Colombia sulla protezione dei testimoni e riconobbero che effettivamente corrispondeva al vero il fatto che molti testimoni in quel paese hanno pagato con la vita il loro coraggio.
Intervento di Beatrice Gnassi – Ufficio Comunicazione di Amnesty International – Italia
Purtroppo il caso di San José de Apartadò non è un caso isolato.
I difensori dei Diritti Umani sono una spina nel fianco dei governi e il loro lavoro generalmente non è riconosciuto da questi.
Il sostegno alle popolazioni colombiane da parte di Amnesty International fa in modo che le situazioni denunciate abbiano un più ampio respiro internazionale.
La “colpa” della Comunità di Apartadò è stata quella di rivendicare la sua neutralità in un conflitto che va avanti da anni e questo ha causato il suo isolamento.
Le minacce e le violenze hanno generalmente un duplice obiettivo: da una parte far tacere voci scomode e dall’altra inviare un chiaro segnale a chi invece ha intenzione di trattare per la pace.
Questo è il clima con cui i difensori dei Diritti Umani lavorano in Colombia e il loro lavoro viene ostacolato sia screditandolo con dichiarazioni pubbliche e procedimenti giudiziari (con accuse di fiancheggiare la guerriglia) sia dando un imput ai paramilitari in modo che sappiano su chi usare violenza.
Questi procedimenti giudiziari hanno anche l’obiettivo di isolare socialmente gli attivisti e i difensori per i Diritti Umani.
L’impunità invece di cui hanno ampiamente goduto i paramilitari gli ha permesso di continuare ad agire indisturbati, oltre che ha trasmesso indirettamente un messaggio negativo alla popolazione, nel senso che è inutile che chieda giustizia in quanto i colpevoli non verranno mai condannati.
Intervento dell’On. Vittorio Agnoletto – Parlamentare Europeo
San Josè de Apartadò è diventato un simbolo e ormai a questo punto si tratta solo di capire se sia possibile, nella situazione di conflitto come quella che vive la Colombia, tirarsene fuori senza usare le armi.
Nei prossimi giorni a Bruxelles si terrà un convegno internazionale sulla questione dei diritti umani della Colombia ed è importante che ciò avvenga anche nell’ambito del Parlamento Europeo con il sostegno di gruppi politici per dare maggior visibilità alle problematiche e far sì che vengano assunte delle precise responsabilità dalle forze politiche, anche per la questione dei fondi che l’Unione Europea mette a disposizione della Colombia e che dovrebbero servire al reinserimento nella vita civile degli ex-paramilitari in virtù del piano di smobilitazione, ma che tutti ormai sanno si tratti di una farsa.
Con questo invio di fondi alla Colombia di fatto il Parlamento Europeo ha ratificato uno strumento che dovrebbe esser usato a favore della democrazia nel mondo quando in realtà l’uso che ne viene fatto è un altro.
Alla notizia che 56 militari della Brigata XVII sono sotto inchiesta per il massacro di Apartadò, accusati dalla Fiscalía colombiana, di essere gli autori dell’omicidio di otto contadini, tra i quali tre bambini, le dichiarazioni pubbliche del Presidente Uribe, in cui calunniava la Comunità di Pace accusandola di avere legami con le FARC e nelle quali ordinava la militarizzazione della stessa, suonano più che mai inquietanti!!
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