Da più di un anno è in resistenza e lotta pacifica il “Tianguis Cultural y Tradicional” , il caratteristico mercato dell’artigianato, meta di visitatori di ogni parte del paese e del mondo che si trova a Coyocán, in uno dei luoghi più caratteristici e importanti di Città del Messico. “Cuore culturale della città” è stato infatti più volte definito questo quartiere che nato originariamente come base di Hernán Cortés durante e dopo l’assedio di Tenochtitlán, venne assorbito via via dall’espansione della città.
Coyoacán, dove il palazzo di Cortés è ancora visitabile (al cui interno fu torturato l’imperatore Cuauhtémoc affinché rivelasse il nascondiglio del tesoro azteco e oggi sede del Municipio), con le sue stradine strette e lastricate e le sue piazzette e giardini rappresenta ancora l’anima bohemienne di Città del Messico. Qui nacque Frida Kalo e visse con Diego Rivera nella celebre Casa Azul, qui trovò rifugio e venne ucciso Lev Trotsky, qui vissero centinaia di esiliati in fuga dalle dittature latinoamericane, qui hanno vissuto e vivono tutt’ora decine di intellettuali e artisti messicani.
Oggi il Tianguis, che non è solo mercato, bensì luogo dove fare musica, teatro, dove sviluppare diversi metodi di espressione in uno spazio aperto e libero, e che godeva ed esercitava questo diritto da oltre 20 anni, rischia di scomparire, confinato all’interno di un moderno “Bazar”, una sorta di supermercato dell’artigianato al coperto e su due piani, situato in una stradina poco lontano dai giardini Hidalgo e del Centenario che da un quarto di secolo ormai ospitavano le oltre 500 famiglie di artigiani rappresentanti di diversi gruppi indigeni e realtà sociali di tutto il paese.
Mario Cadena Godínez e Federico Sandoval Alcantara, rappresentanti del Tianguis, che abbiamo incontrato appena un mese fa a Città del Messico negli uffici della Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani che li sta accompagnando in questa battaglia, raccontano di un anno di lotta pacifica e organizzata, di resistenza resa ancora più difficile dai lavori di idraulica e di pavimentazione delle piazze che di fatto hanno dato il via allo sgombero e che erano propedeutici alla costruzione del bazar.
Raccontano di come non sono mai stati chiamati dalle autorità a partecipare al progetto e che di fatto questo è stato effettuato ed approvato senza averli consultati. “Abbiamo autorizzazioni e accordi con le autorità dal 1996, dal 1998 paghiamo regolarmente il suolo pubblico, i nostri permessi sono stati rinnovati trimestralmente, anno dopo anno...” spiegano.
“Siamo più di 500 gruppi artigianali e la nostra attività da lavoro a circa 500 famiglie. Tra i corsi di artigianato che realizziamo, il mercato e la produzione e la realizzazione del materiale, stiamo parlando di circa 7mila persone che lavorano in questo settore. Nel bazar appena c’è posto per 250 postazioni. Come faranno gli altri? Con che criterio verranno assegnati i posti? Di questo non se ne parla, né se ne è parlato per tutto il tempo in cui le trattative sono durate”.
Il quadro è desolante. Federico spiega di come in realtà secondo lui questo progetto nasconda l’intenzione di far scomparire la loro realtà per sempre. In uno degli articoli del regolamento che sono tenuti ad accettare è previsto per esempio che nel caso la loro postazione nel bazar registri un afflusso di visitatori tale che si rallenti la circolazione delle persone nel corridoio, essi verranno multati per intralcio alla libera circolazione. “E’ assurdo – dice – noi viviamo delle vendite e del commercio, ci multano se il nostro banco è affollato!”
Questo fa riflettere perchè la nuova politica di gestione dell’amministrazione di Città del Messico, in realtà risponde ad una tendenza più generalizzata a livello mondiale nell’organizzazione delle grandi città, volta a dirigere il flusso turistico verso percorsi più “globalizzati” e dedicati prevalentemente ad un’ utenza con risorse economiche più elevate, ma anche omologata nei gusti e nei bisogni. In poche parole quello che si vuole ottenere è un turismo più ordinato, più adulto in termini di età e più economicamente conveniente. Un turismo non più attivo, integrato con la città che scopre mano a mano e le sue diverse espressioni, ma sempre più “organizzato dall’alto” nei suoi percorsi stabiliti e sempre più spettatore passivo di ciò che gli si vuol far vedere.
Niente percorsi improvvisati nei quartieri da scoprire a caso, magari guidati da un suono che viene da lontano o da un odore o da un profumo di cucina tipica ma tracciati globalizzati per turisti tutti uguali.
Niente musicisti di strada ma anziani danarosi, niente giovani vagabondando tra bancarelle ma famigliole ordinate.
Niente spuntini improvvisati magari consumati in piedi o a su una panchina, ma pasti rigorosamente seduti, nei locali per turisti possibilmente di impostazione statunitense o di proprietà delle grandi multinazionali del settore della ristorazione. E infatti tutta la piazza di Coyoacan da tre anni a questa parte è invasa da punti vendita della catena di supermercati 7-Eleven e recentemente è stato aperto, tra le proteste dei ristoratori locali un Burgher King.
Questo per Coyoacán è stato il primo fine settimana senza Tianguis. Da giovedì i giardini erano praticamente vuoti, presidiati da più di 500 poliziotti antisommossa per tenerli liberi dalle bancarelle degli artigiani.
Anche il Bazar Artiginale di Coyoacán era vuoto, disertato in massa.
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P.S. Per coloro che si recano in visita a Città del Messico sarebbe importante passare per i giardini di Coyoacán per portare solidarietà direttamente ai compagni del Tianguis in lotta. A Città del Messico si può contattare anche la LIMEDDH direttamente, qui i recapiti.
Qui i video di Mario e Federico.
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