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La lunga corsa dei Mapuche
Di Annalisa (del 20/08/2009 @ 16:00:00, in Cile/Chile, linkato 868 volte)
Rayen KvyehDi Geraldina Colotti
LE MONDE diplomatique - Il Manifesto
Giugno 2009
«In Cile, la siriuazione dei mapuche peggiora,
la repressione continua – dice la poetessa Rayen
Kvyeh al manifesto –. Nonostante le promesse
della presidente Michelle Bachelet, si continua ad applicare
la legge antiterrorismo del dittatore Pinochet.
Per far condannare in quanto terroristi i mapuche che
si battono per il recupero delle proprie terre, vengono
prodotte prove inaccessibili alla difesa e testimoni falsi
che depongono mascherati, pagati anche 50 milioni di
pesos. Spese che figurano nel bilancio della Procura
della repubblica». Al Museo delle arti e tradizioni popolari
di Roma, dove l’abbiamo incontrata, Rayen
Kvyeh ha presentato la sua nuova raccolta, Luna di cenere,
a cura di Antonio Melis. «Dall’oriente/ le voci degli
avi mi chiamano,/ il sogno dei loro fuochi/ circola
nel mio sangue ribelle…» recita una poesia dal titolo
Araucaria prigioniera. Rayen elenca i nomi delle comunità
colpite dalla costruzione delle centrali idroelettriche
dell’impresa spagnola Endesa (ora gruppo Enel),
nell’alto Bio bio, canta la resistenza ambientalista dei
mapuche, la battaglia per il recupero dei loro territori
ancestrali. Nella precedente raccolta, Luna dei primi
germogli, il testo a fronte era in mapudungun, l’idioma
dei mapuche, indice di una riscossa indigena che si evidenzia
anche sul piano culturale. Questa volta, invece,
il testo a fronte è in spagnolo: «La riappropriazione
della propria lingua, negata dalla colonizzazione e dagli
stati coloniali – scrive Antonio Melis nella nota introduttiva
–, si accompagna alla capacità di piegare
anche la lingua del colonizzatore al proprio mondo
simbolico ed etico». Un corpo a corpo accompagnato
dal suono del kul kul (uno strumento a fiato mapuche
ricavato da un corno bovino) e scandito dal ritmo del
kultrun, il tamburo usato dalla sciamana nelle cerimonie
rituali di questo popolo fiero e antico.
I mapuche, ovvero gente della terra. Un milione
circa di persone che vive tra la parte centromeridionale
del Cile e la capitale Santiago (un numero di poco
inferiore è presente oltre la cordigliera delle Ande, in
Argentina), e abita da tempi lontanissimi
in quei territori. «Per
più di mille anni – spiega Rayen
– la Nación mapuche si è estesa
su quei territori ancestrali, che
anticamente andavano dal fiume
Itata e al Reloncavi, in Cile , alle
attuali province di Neunquen, la
Pampa e il Rio Negro in Argentina.
La totalità del territorio, diviso
in mapu, era il Wallmapu. I
mapuche erano dediti all’orticultura,
al taglio degli alberi, alla
caccia e alla pesca, lavoravano
la ceramica e intrecciavano
cesti, celebravano il culto della Mapu Nuke, la madre
terra. Erano particolarmente abili nell’arte militare».
Una risorsa che ha permesso loro di resistere nel corso
del tempo alle diverse invasioni coloniali: la seconda
avanzata degli incas, che occupano e unificano gran
parte dei territori andini per diversi milioni di chilometri,
viene fermata, nel 1485, sul fiume Maule, a sud del
Cile. Anche l’invasione spagnola, nel 1500, si scontra
con quel popolo che non accetta di essere sottomesso.
Pedro Valdivia, che guida la spedizione, viene ucciso
nel 1553 nella battaglia di Tucapel e successivamente
la corona spagnola deve riconoscere l’indipendenza
territoriale dei mapuche dal fiume Bio-Bio al fiume
Tolten, nel sud del Cile, firmando a più riprese 36 trattati.
L’ultimo, nel 1803. Con toni epico-lirici, nella raccolta
Luna dei primi germogli (sempre pubblicata da
Gorée) Rayen torna a quel quadro storico, celebra gli
eroi mapuche e le figure femminili
che resistono all’invasione
e all’assimilazione culturale:
Lautaro, Caupolican o Guaconda
agiscono in simbiosi con la
natura, indicano uno dei motivi
ricorrenti nella produzione poetica
dell’autrice: la difesa della
Madre terra e dell’ambiente
contro l’avanzata delle multinazionali.
«La storia, certo, – afferma
Rayen – si può interpretare
in maniera lineare, e allora
le cose hanno un inizio e una
fine, e in questo percorso, a
volte, si sono potuti giustificare
i massacri di intere comunità.
Per gli indigeni, invece,
la storia si interpreta
in modo ciclico, a spirale,
secondo i principi filosofici
della visione cosmica: la fine
è l’inizio della seconda
spirale e così via andando avanti nel tempo. Non c’erano
barbari da civilizzare, ma popoli con una propria
cultura che un “progresso” ai fini del profitto ha
cercato di sottomettere o ha spazzato via». Un progresso
che, nella sezione della raccolta intitolata Menzogne
moderne, diventa un albero dal tronco vuoto anche
se «i suoi rami moltiplicano biglietti verdi». Un albero
devastante come l’eucalipto, imposto nella regione
dalle imprese forestali, che – recita un’altra poesia
– «produce una polvere biancastra che soffoca il respiro
dei bambini» e quando piove s’impasta con l’acqua
lungo i sentieri. Un tempo, «il confine si tracciava
con una cunetta», i winka (i colonizzatori) «ne hanno
scavato una nuova/ poi hanno piantato i pini» per recintare
le comunità.
Nella guerra tra Spagna e Cile, la maggioranza dei
mapuche appoggiò la Spagna, ma soprattutto cercò di
difendere i propri territori e la propria autonomia. Dal
1881, quando lo stato cileno occupò militarmente la
Nación mapuche riducendola a una riserva che oggi è
divisa in piccole proprietà private improduttive, quel
popolo non ha chinato la testa. Durante il governo Allende,
si batté per ottenere una riforma agraria poi interrotta
e distrutta dalla dittatura militare. Dopo la sua
caduta, fu in prima fila nelle organizzazioni armate partigiane
GERALDINA COLOTTI
Anche Rayen, nata nella provincia cilena di Malleko,
ha conosciuto le prigioni di Pinochet e la tortura.
Ne è uscita viva e ha potuto riparare all’estero, ma nei
suoi libri e nelle pièces teatrali che ha scritto, ha ricordato
i tanti mapuche che si sono opposti alla dittatura,
morti combattendo o desaparecidos. In Luna di cenere,
quell’esperienza ritorna. Come scrive Antonio Melis,
dalla finestra della cella la prigioniera non scorge il cielo
promesso dai conquistatori, ma la divinità tutelare
femminile dei mapuche. Per arrivare alla luce, sale su
una pila di libri, si serve cioè della cultura per combattere
l’oppressione... Il termine Nacion mapuche, come
quello di nazione indigena, oggi indica la realtà geosociale
dei popoli che non hanno stato, ma il territorio
mapuche – che ancora viene denominato La Frontera
in ricordo dei tempi passati – è una sorta di zona liberata.
E gli ül, i canti che accompagnano i momenti più
importanti della vita del popolo mapuche, raccontano
una storia non riconciliata.
contro la dittatura.