I due giorni di sciopero nazionale agrario del 8 e 9 luglio promossi in Perú da varie organizzazioni tra le quali la Confederación General de Trabajadores del Perú (CGTP), la Confederacíon Nacional Agraria (CNA), la Confederación Campesina del Perú (CCP) e la Coordinadora Andina de Organizaciones Indígenas (CAOI) rischiano di paralizzare il paese e di trasformarsi in un momento di rivolta nazionale contro un governo, quello del presidente Alan García. Questo sordo fino a questo momento alle varie voci di protesta che si levavano più o meno isolatamente, si trova ora a fare i conti con un movimento ben organizzato e soprattutto unito. Un movimento contadino e indigeno ben strutturato al quale si sono aggiunti altri settori, come quello dei lavoratori e degli imprenditori dell’attività estrattiva e mineraria, i trasportatori, i lavoratori del settore della pesca. Un movimento oggi forte dell’appoggio internazionale ottenuto anche da varie organizzazioni non governative europee (tra le quali la nostra ASud) soprattutto durante i giorni della Cumbre de los Pueblos, realizzata a Lima tra il 13 e il 16 di maggio di quest’anno, in contrapposizione al vertice istituzionale dei paesi dell’Europa e dell’America Latina e dei Caraibi. Enlazando Alternativas è il nome che è stato dato a questo grande progetto di gemellaggio di intenti e movimenti tra i due continenti.
E nonostante in questi giorni il premier Jorge del Castillo, appoggiato anche da una campagna mediatica non indifferente realizzata attraverso stampa e televisione, abbia cercato di sminuire la portata dell’adesione allo sciopero nazionale, in una conferenza stampa di oggi i portavoce delle maggiori associazioni e cioè Antolín Huascar, presidente della CNA, Melchor Lima della Confederación Campesina del Perú, Mario Palacios di CONACAMI, Miguel Palacín del CAOI, Luis Valer dela CUT-Perú e il Segretario General de la CGTP, Mario Huamán fanno sapere che almeno il 70% degli agricoltori aderisce allo sciopero nazionale. Hanno aggiunto inoltre che a causa del disinteresse dello Stato è aumentata la povertà nelle regioni rurali e agricole del paese e si è nello stesso tempo incrementata la perdita della diversità biologica e culturale nel momento in cui si verificano anche imponenti abbandoni delle terre da parte dei contadini.
Oggi in almeno sei regioni si sono registrate proteste contro le ultime misure adottate dal governo in materia di agricoltura e di redistribuzione della terra. Queste sono: Uyacali, Madre de Dios, Huánuco, Tacna, Puno, Ayacucho e Cusco. Praticamente ogni regione ha da esprimere particolari e peculiari motivi di lotta e di protesta e quello che si profila all’orizzonte è un enorme grattacapo per il governo di Alan García.
La regione amazzonica di Madre de Dios, conosciuta anche come capitale della biodiversità del Perú è completamente paralizzata in ogni settore della vita sociale. Indigeni, agricoltori, imprenditori del settore minerario e del legno, coltivatori di castagne, commercianti, si sono recati in massa e con ogni mezzo verso Puerto Maldonado, il centro più importante.
Non è un caso che in questa zona la protesta sia particolarmente sentita. La terra qui rappresenta praticamente l’unico mezzo di sostentamento per centinaia di comunità indigene e contadine, è la loro stessa casa, la loro madre, la vita stessa, in una sintonia creatasi attraverso i secoli. Le leggi varate dal governo centrale di fatto formalizzano l’espropriazione delle terre che qui vengono coltivate e abitate da generazioni di contadini e di popolazioni indigene. Il DL 994, per esempio, approvato dal governo nel marzo scorso, facilita l’applicazione del Trattato di Libero Commercio (TLC) con gli Stati Uniti e favorisce gli investimenti da parte delle multinazionali straniere nel paese. Soprattutto favorisce gli investimenti privati nei progetti di irrigazione di zone incolte che verrebbero affidati a grandi investitori stranieri sottraendo le terre così ai contadini della zona che potrebbero invece, con incentivi statali coltivare e rendere produttive e che invece sono stati sempre più esclusi nel tempo dalla loro gestione e sfruttamento.
Inoltre nel mese di maggio è stato approvato il DL 1015 per il quale “per l’acquisizione di proprietà da parte dei proprietari comunitari sulla terra che possiedono da più di un anno, l’Accordo Generale della Comunità richiederà il voto favorevole di non meno del cinquanta per cento dei comunitari proprietari da più di un anno”. Praticamente i contadini vedranno il loro diritto alla terra essere messo in discussione dal miglior offerente. E questo risulta particolarmente grave soprattutto in determinate zone rurali come la regione di Huancavelica, nella sierra, costituita da 580 comunità contadine riconosciute ufficialmente. Di queste almeno 100 non hanno titoli di proprietà e le loro terre non sono iscritte nei registri pubblici. Lo stesso ministro dell’Agricoltura ha riconosciuto che alla fine del 2007 circa mille comunità contadine non erano in possesso di titolo di proprietà della terra , anche in virtù del fatto che in Perú la trascrizione delle proprietà nei registri pubblici è facoltativa e non obbligatoria. Se venisse applicato il DL 1015 automaticamente queste comunità perderanno ogni diritto su quelle terre, diritto che esercitano ormai da centinaia di anni, di generazione in generazione. Terre che fanno particolarmente gola agli investitori in quanto ricche di materie prime non ancora sfruttate.
Le organizzazioni contadine chiedono inoltre al governo che adegui la legislazione nazionale vigente in materia di diritto del lavoro alle convenzioni internazionali e che vengano rispettate le direttive della Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni dell’ONU secondo le quali non devono essere fatte ulteriori concessioni a multinazionali operanti nel settore estrattivo nei territori appartenenti alle comunità contadine ed indigene.
Ad Ayacucho si chiede invece che vengano ritirate le truppe nordamericane dislocate nel territorio nel compimento di azioni umanitarie di vario tipo.
A Trujillo la protesta sarà contro la privatizzazione del porto di Salaverry e così via via in tutto il paese si protesta e si manifesta contro gli innumerevoli e diversi aspetti di una politica neoliberale che sta svendendo le enormi risorse e ricchezze ai capitali stranieri e che sta facendo del Perù uno degli ultimi alunni modello del FMI e della BM della regione.
Si protesta per migliori condizioni lavorative come per diritti sindacali ancora spesso negati, contro attività estrattive in zone ad elevato interesse turistico, così come per il pagamento di prezzi più giusti per le produzioni locali quali ad esempio quella del cotone.
Una protesta a tutto tondo che deve fare particolarmente paura al governo viste le imponenti misure di sicurezza adottate per i prossimi giorni e l’imponente militarizzazione in atto nel paese.
Con la Risoluzione Suprema n. 242-2008-DE pubblicata nella giornata di ieri nel quotidiano “El Peruano” il governo del presidente Alan García ha disposto infatti che sia l’Esercito che la Forza Aerea mettano a disposizione uomini e mezzi per questi due giorni di sciopero nazionale. Un coro di voci unanime si è levato contro la misura disposta dal governo, definita come “incostituzionale” e “pericolosa per la democrazia” da alcuni analisti politici e sociali del paese.
Molti dirigenti sindacali responsabilizzano il governo per qualsiasi episodio di violenza possa accadere nei prossimi giorni in quanto affermano, mettere le Forze Armate per strada “è una provocazione” e una risposta “estremamente sproporzionata” alla una protesta “legale e prevista dalla Costituzione” come ha dichiarato Carmela Sifuentes presidente della CGTP.
La stessa CGTP conferma inoltre che elementi dell’esercito sono infiltrati in tutto il paese. A Trujillo soldati si sono insediati senza previa informazione ai responsabili, nella centrale di distribuzione dell’acqua potabile, lo stesso è avvenuto nelle centrali elettriche e in alcuni aeroporti di altre località.
Si denunciano inoltre infiltrazioni da parte di elementi vicino al partito aprista nell’organizzazione sindacale, con lo scopo di dividerla al suo interno in modo da sabotare l’adesione allo sciopero e le iniziative future.
Quello che è certo è che sembra una guerra sporca che il governo sta conducendo nel peggiore dei modi contro una legittima protesta del popolo che vuole solo ricordare al suo presidente le innumerevoli promesse incompiute della sua campagna elettorale.