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"La otra marcha" . Il 6 marzo in Colombia con i familiari delle vittime del paramilitarismo e dei crimini di Stato.
Di Annalisa (del 27/02/2008 @ 00:23:04, in Colombia, linkato 1813 volte)
Tempo fa  scrissi  sulla  marcia contro le FARC del 4 febbraio, definendola  “la marcia della vergogna”.
Qualcuno si risentì anche per questo. Mi dispiace,  ma non posso che confermarlo.
E questo perchè lo stesso governo che con grande impegno e profusione di mezzi aveva appoggiato  quell’ iniziativa, trasformandola in uno show planetario,   adesso sta in varie occasioni, tramite i suoi portavoce più accreditati, bollando come è solito fare in questi casi  come “evento organizzato dalle FARC”,  la marcia in solidarietà per le vittime del paramilitarismo e dei crimini di Stato organizzata  per il 6 marzo prossimo da  varie organizzazioni sociali tra le quali  il Movimento delle Vittime dei Crimini di Stato, la Confederazione Unitaria dei Lavoratori  (CUT)  e l’organizzazione Nazionale dei Popoli Indigeni (ONIC).  E’ la stessa musica di sempre che si ripete, quando lo stato colombiano desidera prendere le distanze da realtà troppo scomode le affianca alle FARC, quando vuole segnalare personaggi indesiderati ai paramilitari affinché provvedano di conseguenza,  li chiama pubblicamente “fiancheggiatori delle FARC”, quando vuole far credere che la lotta contro la guerriglia procede nel migliore dei modi trucida nelle campagne del paese qualche contadino innocente e gli piazza addosso divise delle FARC.
Niente di nuovo. Il governo colombiano ha confermato in questi giorni di non essere d’accordo con quanto si vuole esprimere con la manifestazione. E’ ovvio. Può il governo colombiano manifestare contro se stesso? Può marciare appoggiando le vittime del paramilitarismo e dei crimini di Stato? Può esprimere solidarietà per i  familiari delle vittime del paramilitarismo, quando anni prima, mesi prima, passò i nomi dei loro figli, dei fratelli, dei genitori, ai capi paramilitari perchè fossero eliminati? Può farlo, quando  complice, ha fatto sì che quegli stessi figli, fratelli, genitori finissero nelle fosse comuni, sparissero o fossero tagliati a pezzettini dalle motoseghe?
Questa volta è stato José Obdulio Gaviria  a  sentenziare che “la marcia è un atto organizzato dalle FARC”. E che,  sia  “lui che il presidente non  prenderanno parte  alla manifestazione”.
Ora José Obdulio Gaviria non è un personaggio qualunque, è una delle persone più vicine al presidente Uribe, suo consigliere da circa un decennio, è praticamente considerato l’ideologo del governo. Egli è però anche cugino di Pablo Escobar e i  suoi fratelli e un cognato sono stati arrestati in passato negli Stati Uniti per traffico di stupefacenti. Dettagli di poco conto, ovviamente. Un uomo così in Colombia può essere perfino  consigliere del Presidente della Repubblica.
Intanto l’anatema che ha gettato sulla marcia del 6 febbraio ha già dato i primi effetti: alcuni organizzatori della manifestazione hanno infatti ricevuto varie minacce di morte.
Daniel Maestre ha denunciato intimidazioni  giunte via mail ad appartenenti dell’Organizzazione Nazionale Indigena (ONIC) con “l’invito” a non  partecipare alla marcia.
Di questa marcia contro “l’altra violenza”, quella di stato, se ne sta parlando pochissimo. Nessuno spazio sui  grandi social network, nessuna propaganda, niente magliette né volantini nelle università italiane.
Come mai? Da cosa dipende? Dipende forse dal fatto che i numeri della violenza paramilitare sono talmente trascurabili da diventare insignificanti al confronto di quelli prodotti dalla violenza  delle FARC? Sappiamo bene che è esattamente vero il contrario.
O piuttosto è quello che la circonda, soldi, corruzione, potere, che trasforma la sua natura fin quasi a farla diventare un non-problema per la Colombia?
La marcia del 6 marzo, a differenza di quella de 4 febbraio contro le FARC non è stata organizzata da un anonimo utente di internet che come per magia ha creato dal nulla una mobilitazione mondiale appoggiata dal governo e da tutti i suoi mezzi di comunicazione.
Uno degli organizzatori, Iván Cepeda Castro, il rappresentante delle Vittime dei Crimini di Stato, è il figlio di Manuel Cepeda, senatore dell’Unión Patriotica ucciso a Bogotà il 9 agosto del 1944 da alcuni membri delle Forze Militari colombiane e da appartenenti delle  AUC (Autodefensas Unidas de  Colombia).  Lo stesso Carlos Castaño Gil ha ammesso la sua partecipazione all’omicidio del senatore Cepeda.
Iván in una recente intervista a Semana dice che “la marcia reca implicita una condanna ai delitti dei paramilitari” ma anche al fatto che coloro che sono implicati negli scandali della parapolitica ricoprono ancora incarichi diplomatici e che ci siano ancora casi di esecuzioni extragiudiziali commesse dalla forza pubblica.
Ci auguriamo  che la marcia del 6 di marzo raccolga il pieno consenso e appoggio da parte di tutta la comunità internazionale, perchè come afferma Iván solo “avendo l’abitudine democratica di condannare senza nessun pregiudizio o ambiguità qualsiasi forma di violenza, si sarà tracciato il cammino per la pace”.
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