“La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi” scrivevano Marx ed Engels nel 1848.
Ed emblematicamente oggi, la lotta di classe è rappresentata dall’estintore della Thyssenkrupp: troppo pieno per i padroni, troppo vuoto per gli operai.
Nel 1977 una nota scoperta da Felice Casson in uno stabilimento della Montedison impartiva questa direttiva in materia di sicurezza: “spendere solo quando è assolutamente e comprovatamente indispensabile...negli altri casi bisogna correre dei ragionevoli rischi”.
Se questo è l’imperativo che muove la logica padronale, quale potrebbe essere allora quello che ha mosso la logica sindacale che ha permesso agli operai dell’acciaieria di lavorare e di morire a Torino, non “in un angolo dell’Africa” come ha detto Pietro Ingrao, in condizioni di sicurezza inaccettabili?
Sembrerebbe casuale ma allora non lo è, che mentre a Roma spariscono dal simbolismo politico italiano la falce e il martello, a Torino il fuoco vivo del progresso, del riformismo, del laisser-faire, ha carbonizzato quattro operai.
Sembrerebbe casuale ma non lo è, allora anche quello sbiadire del rosso “comunista” che si è trasformato in un brutto arancione sulla prima pagina di uno storico quotidiano; sembrerebbe casuale ma non lo è che la storia della sinistra si sia ridotta a un ridicolo album di figurine.
E allora servirà una nuova figurina, quella con la falce e il martello e la didascalia a ricordare ai posteri che prima ancora di significare “comunismo” , la falce e il martello significavano movimento operaio e movimento contadino.
Ma la falce e il martello da tempo hanno perso il loro potere di generare fermento sociale e rivendicazione operaia e “comunismo” è diventata ormai una parola scomoda e un po’ fuori moda.
Basta guardare la mancanza di slancio, di rabbia con la quale si sta vivendo la tragedia di Torino, la farsa delle collette ai familiari, il lutto cittadino, basta leggere quel tragico : “si accetta di tutto per la paura di restare senza un posto di lavoro” sulle pagine dei giornali, per rendersi conto che il movimento operaio in Italia è morto. Parlo di quel movimento capace di pretendere sicurezza e dignità sul lavoro, che ci avevano insegnato non molto tempo fa non essere più solo merce; quel movimento partecipe nei sindacati, capace di guidarne lotte e rivendicazioni, piuttosto che accettare compromessi e patteggiamenti.
Se così è, allora che spariscano davvero la falce e il martello e tutti di nuovo in fabbrica domani.