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In fondo volevamo solo chiedere la libertà per i prigionieri politici...
Di Annalisa (del 17/10/2007 @ 10:00:00, in Mapuche, linkato 1823 volte)
Intervista a Violeta Valenzuela e Jeannette Paillan
di Annalisa Melandri
Violeta Valenzuela è la presidente dell'associazione Wenuyakan - Amicizia con il popolo Mapuche e Jeannette Paillan è una giornalista mapuche, nota regista di documentari sulle  realtà dei popoli originari nonchè prima donna mapuche produttrice di audiovisivi.
 
D. Violeta, so che sono diversi mesi che come organizzazione Wenuykan (Amicizia) stavate preparando un’iniziativa pacifica di protesta in occasione della visita in Italia della presidente cilena Bachelet. Quali sono i motivi della vostra protesta?
R. L’idea di organizzare una protesta pacifica è nata ripensando all’intervento della presidente Bachelet a Ginevra quest’anno quando colse l’occasione del suo incontro con la sua omologa svizzera per negare pubblicamente l’esistenza di prigionieri politici Mapuche in Cile. Quella dichiarazione suscitò allora numerose proteste contro la Bachelet. Quando abbiamo saputo che sarebbe venuta in Italia abbiamo pensato di protestare pacificamente per fare in modo che anche qui si conosca la verità e cioè che attualmente in Cile ci sono circa 50 prigionieri politici Mapuche di cui 5 in sciopero della fame nel carcere di Angol.
 
D. Cosa chiede il popolo Mapuche?
R. Che il governo cileno riconosca nella sua Costituzione l’esistenza dei popoli originari e che ratifichi la convenzione n. 169 ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) per il riconoscimento dei popoli indigeni. Inoltre che venga abolita la legge 18.314 anti-terrorista che fu creata dalla dittatura di Pinochet e che i governi della Concertazione continuano ad applicare in modo razzista soltanto nelle regioni abitate dai Mapuche.
 
D. Quali sono le rivendicazioni dei prigionieri politici Mapuche in sciopero della fame?
R. La libertà di tutti i prigionieri politici, il fermo delle incursioni e la smilitarizzazione della zona Mapuche e la denuncia di tutte le montature giudiziarie realizzate per condannare o incolpare le attività Mapuche.
 
D. Avete riscontrato problemi nell’organizzazione della protesta pacifica? Oggi eravate solo in due, come mai così scarsa adesione?
R. Innanzitutto abbiamo avuto grandi difficoltà dovute al fatto che è stato difficile reperire notizie certe sui luoghi e gli  orari degli incontri della Bachelet qui in Italia e sugli appuntamenti in agenda, questa scarsa informazione sicuramente è stato un fatto programmato anticipatamente perchè  Michelle Bachelet già aveva avuto precedenti contestazioni nel corso delle sue visite in Europa. Principalmente per questi motivi non siamo riusciti  a raccogliere  adesioni alla nostra protesta, inoltre in Italia la Bachelet è vista dalla sinistra al governo come un presidente progressista di sinistra ed è stato pertanto impossibile sommare alle nostre voci stamattina davanti al piazzale dell’Università quelle di tanti movimenti legate alla sinistra italiana, che anche se  “su carta” ci hanno sempre sostenuto di fatto oggi non c’erano.
Ci terrei a far presente in questa occasione che la sede della nostra associazione, presso l’abitazione del ns. vicepresidente Sig. Gavino Puggioni,  di cittadinanza italiana, è stata visitata il 15 ottobre dalla Digos, la quale era in possesso della mail di protesta inviata a Fabio Mussi contro la laurea ad honorem che verrà conferita dall’Università di Siena a Michelle Bachelet il 16 ottobre e che hanno indagato per diverse ore sull’attività dell’associazione e sui suoi programmi attuali e futuri.
 
D. Oggi, Violeta, tu e Jeannette Paillan mapuche residente in Spagna, le uniche due partecipanti alla protesta, perdonami, ma due donne di mezza età siete state portate in Commissariato per accertamenti, dove vi hanno trattenuto per un’ora. Che atteggiamento hanno avuto le autorità con voi?
Innanzitutto davanti alla sede dell’Università ci hanno ripetutamente invitato a tenere lo striscione  chiuso. Lo striscione riportava la scritta “libertà per i prigionieri politici Mapuche”. Ci siamo rese subito conto che le forze dell’ordine erano infastidite e innervosite dalla nostra presenza, probabilmente perchè Jeannette era in abito tradizionale Mapuche e portavamo lo striscione arrotolato e una bandiera chiusa. Abbiamo notato anche la presenza di alcuni agenti cileni che però non si sono avvicinati a noi.
Nonostante ci fossero altre persone che aspettavano l’arrivo della Bachelet, probabilmente dei curiosi, le forze dell’ordine hanno invitato solo noi due ad andare via. Mentre ci stavamo allontanando per aspettare comunque l’arrivo della Bachelet da un’altra postazione  (nel frattempo il nostro striscione lo avevano messo in una macchina della polizia) si è avvicinato un agente in borghese , probabilmente un ispettore, che con queste testuali parole “siete gentilmente invitate a salire in macchina “ ci ha fatto accompagnare in commissariato.
 
D. E lì cosa è successo?
R. Già in macchina, poiché avevano visto Jeannette scattare  scattava fotografie, le hanno chiesto di consegnargli la macchina fotografica, al suo rifiuto le hanno chiesto le batterie.
Arrivati in commissariato ci hanno chiesto di consegnargli i documenti e i cellulari e quando abbiamo chiesto di poter fare una telefonata non ce ne hanno dato la possibilità. Con atteggiamento nervoso hanno controllato i nostri documenti ma era come se stessero cercando qualsiasi appiglio per giustificare un nostro eventuale fermo,  noi per lo meno abbiamo avuto questa impressione. A Jeannete per esempio le hanno contestato che sul passaporto non ci fossero timbri di ingresso in Italia e le hanno detto che pertanto la sua presenza in Italia  era illegale quando è noto che all’interno dell’ Unione Europa non è necessario nessun timbro sui documenti, le hanno anche detto che lei doveva avere una speciale autorizzazione del governo spagnolo per muoversi in ambito europeo.
A me hanno detto che in quel momento stavo promuovendo, per complicità con la mia amica, l’immigrazione clandestina.
 
D. Che impressione avete avuto questa mattina?
R. Che si sia fatto di tutto, anche con riferimento al silenzio della stampa affinchè non si ripetessero in Italia le proteste che hanno accompagnato i precedenti viaggi della Bachelet in Europa, ho avuto l’impressione che siamo state trattenute in commissariato il tempo necessario affinchè la presidenta potesse entrare nell’Università senza presenze di disturbo di nessun genere.
 
D. Tutto questo con evidente scopo intimidatorio?
R. Non lo so però io mi sono sentita in qualche modo sotto pressione e  perseguitata, anche per la notizia che avevo ricevuto della visita della Digos presso la sede della Associazione. Ci hanno anche informate che il fermo cautelativo per i cittadini italiani è di 12 ore e per quelli stranieri di 24 ore.
 
D. La Bachelet però nel suo viaggio in Italia è accompagnata da una rappresentante Mapuche, Isolde Reuque.
R. Questo è quello che scrive la stampa, in realtà lei non è in Italia in qualità di rappresentante Mapuche ma semplicemente perchè è una rappresentante del Partido  della  Democracia Cristiana, viene in Italia per questo, non perchè è indigena.
 
D.Jeannette, quanta frustrazione provoca in voi il lottare in Europa per una battaglia completamente sconosciuta?
R. No, non provoca frustrazione, io sento che quello che succede al popolo Mapuche è la stessa cosa che succede agli altri popoli originari che non sono riconosciuti dai loro propri governi.
Questo disinteresse che avverto in  Europa per la causa Mapuche è lo stesso disinteresse che sento  per altre cause e che generalmente si chiama indifferenza verso il prossimo ed è quello che emblematicamente è successo oggi, stamattina, davanti all’università dove due donne sole di cui una evidentemente immigrata (per il mio abito) circondate da forze dell’ordine  e nessuno si è avvicinato per vedere cosa stesse succedendo, nemmeno dei giornalisti che erano lì presenti.
 
 
Tutti noi, comprese Jeannette e Violeta, ci chiediamo se questa sia una iniziativa delle forze dell’ordine italiane o se è il tentativo del governo italiano di nascondere la verità sul Cile. O magari entrambe le cose, la seconda realizzata tramite la prima.