Scioperare e morire per 100 dollari al mese in un governo “di sinistra”.
Un lavoratore cileno del settore del legname, Rodrigo Cisternas Fernández di 26 anni è stato ucciso durante la repressione di una grande manifestazione operaia contro l’azienda italo-cilena Celulosa Arauco y Constitución S.A. (Celco) di proprietà del Gruppo Angelini.
E’ accaduto il 3 maggio scorso, durante un blocco stradale organizzato da 2500 operai della Celulosa Arauco che da tempo erano in sciopero per ottenere migliorie salariali e condizioni lavorative più degne.
Negli scontri, oltre all’operaio ucciso, si sono registrati 6 feriti di cui almeno 4 carabinieri e inoltre 6 persone sono state arrestate. Già dal mese di marzo erano state avviate delle negoziazioni con la multinazionale italo-cilena che però non avevano dato i risultati sperati. Tra le richieste avanzate c’era quella di garantire maggior sicurezza sul lavoro e quella più importante, un aumento del salario del 40% (un salario mensile si aggira tra i 60.000 e 40.000 pesos, circa 100 US). Purtroppo la Celulosa Arauco nella sua offerta non era andata oltre un misero 4% e così gli operai, quasi tutti con contratti di lavoro in subappalto, sostenuti dal sindacato, avevano deciso di ripristinare il blocco stradale.
La morte di Rodrigo Cisternas è avvenuta dopo tre giorni di blocco stradale portato avanti in modo pacifico e interrotto dall’intervento violento e armato delle forze di polizia, che hanno distrutto le autovetture dei dimostranti nel tentativo di ripristinare la viabilità stradale. Immagini violente che sono state trasmesse sia in internet che sulle reti locali mostrano gli automezzi privati che gli operai avevano utilizzato per il blocco stradale, violentemente distrutti dai carabinieri.
Il giovane Rodrigo, cercando di respingere l’assalto della polizia e difendendo gli automezzi dei suoi compagni, alla guida di una ruspa ha tentato di forzare il posto di blocco della polizia ed è stato fermato a colpi di arma da fuoco.
Nei giorni seguenti gli operai hanno organizzato numerose manifestazioni e veglie in memoria di Rodrigo Cisternas per commemorare la sua morte e per protestare contro la repressione violenta della polizia. Anche queste manifestazioni purtroppo si sono concluse con decine di arresti.
La morte del giovane operaio ha scosso il paese e lo ha ulteriormente diviso in un momento in cui le forze di sinistra sindacali, operaie e politiche si interrogano sia sul loro futuro, sia sulla situazione politica attuale.
Michelle Bachelet, dopo giorni di imbarazzante silenzio, ha dichiarato che “la morte di Rodrigo rappresenta la sconfitta di tutti” ed è evidente invece che purtroppo i motivi per i quali egli scioperava ed è morto rappresentano la sconfitta delle promesse della Concertación agli occhi del popolo.
Popolo che si organizza e scende in piazza per migliorare le proprie condizioni lavorative contro il gigante Angelini e che si trova davanti le forze di polizia che invece di tutelare sull’ordine pubblico si attivano con violenza per ristabilire l’ordine privato e gli interessi economici dell’imprenditore italiano Anacleto Angelini (nominato Cavaliere del lavoro da Carlo Azeglio Ciampi due anni fa), “Don Cleto” o “l’imperatore del Cile” emigrato dall’Italia nel 1948 e che secondo Forbes è al 203° posto nella classifica degli uomini più ricchi del mondo.
La famiglia Angelini è una delle famiglie più potenti del Cile, protetta e coccolata dall’oligarchia pinochettista, oltre al settore del legname detiene la concessione per lo sfruttamento di importanti giacimenti di oro, argento e rame, opera nel settore energetico, in quello assicurativo, in quello della pesca e inoltre controlla per il 60% la Compañia de Petróleos de Chile (Copec). La sua Bosques Arauco è la multinazionale del legname e della cellulosa più grande del paese, comprende un patrimonio forestale di 800.000 ettari e si è trovata spesso in lotta con il Popolo Mapuche a causa del disboscamento selvaggio e dei i danni causati alle foreste per l’uso massiccio di pesticidi. Inoltre mesi fa è stata messa sotto accusa per l’inquinamento del Río Cruces e la conseguente morte della rara specie di cigno dal collo nero.
A difesa del patrimonio dell’ ”emperador de Chile” si è attivata, dietro precisa disposizione del Ministero dell’Interno, la forza di polizia, la quale invece di presidiare sull’ordine pubblico, vigilando esclusivamente sulla sicurezza, è intervenuta, a mano armata, con l’intento di smobilitare il blocco stradale.
Jorge Gonzales, vicepresidente della Confederazione Nazionale dei lavoratori forestali, ha denunciato che il capo dei Carabinieri poco prima di iniziare la repressione dello sciopero avrebbe detto: “Tengo órdenes de dar a cagar”, (ho ordine di fargliela fare sotto)...
La CUT (Central Unitaria de Trabajadores), per voce del suo Presidente, Arturo Martinez, ha condannato duramente in nome di tutti i lavoratori cileni, la violenza e brutalità con la quale è intervenuta la polizia : “Hanno usato armi da fuoco come se si trovassero in guerra o in uno scontro armato” ha detto, e chiedendo la rimozione dal suo incarico del generale dei Carabinieri responsabile della zona, ha aggiunto che “la polizia non può attuare come i guardiani del capitale o dei proprietari delle imprese , la sua funzione è quella di vigilare sull’ordine pubblico e pertanto invitiamo il Governo a proporre un progetto di legge che regoli l’operato dei Carabinieri nei conflitti di questo tipo”.
Intanto gli ufficiali che erano a capo dell’operazione di polizia sono stati destituiti e la Fiscalía militare si preoccuperà di fare chiarezza sulla vicenda. Il CODEPU (la corporazione di promozione e difesa dei diritti del popolo) chiede a gran voce però che l’indagine venga portata avanti dalla giustizia ordinaria e non da quella militare, temendo, come è già avvenuto in passato per casi analoghi, che quest’ultima non garantisca imparzialità e indipendenza nel fare luce sulla vicenda e nel definire le responsabilità sull’accaduto.
Jorge Gonzales, invece, assicura che la lotta continuerà fino al momento in cui si raggiungerà un accordo completo con la Bosques Arauco: “la morte del nostro compagno ci ha dato maggior forza per continuare a trattare con la multinazionale. Le nostre proteste sono giuste e sappiamo di non essere soli. La nostra lotta non si è conclusa ed è ora che il governo crei delle leggi per migliorare le condizioni lavorative degli operai cileni.
Il governo di Michelle Bachelet è ultimamente messo sotto accusa dai settori popolari del Cile e dalle comunità indigene per essere al servizio dell’oligarchia e delle multinazionali dello sfruttamento delle risorse forestali e minerarie. I Mapuche non vedono ancora rispettati i loro diritti, molti di essi vengono arrestati ingiustamente o sono vittima di abusi da parte delle forze di polizia, vengono sottoposti a detenzioni arbitrarie e spesso sono giudicati da tribunali militari per semplici reati civili, quando il governo cileno ancora non attua la separazione della competenza dei due tribunali come più volte osservato dal Comitato dei Diritti Umani per le Nazioni Unite. Accade sempre più spesso che le proteste popolari vengano represse violentemente con l’uso della forza, come è avvenuto settimane fa durante la commemorazione della giornata in memoria del Giovane Combattente (vedi qui), come è accaduto ai funerali di Rodrigo Cisternas, come è accaduto due giorni fa in occasione delle proteste dei cittadini per il blocco nella metropolitana, che unito ai disservizi del Transantiago ha messo fuori uso la viabilità nella capitale. La risposta del governo, scontata, è stata quella di reprimere con i soliti gas lacrimogeni la spontanea manifestazione di protesta dei cittadini stanchi di promesse che non vengono mantenute.
Il popolo, gli studenti, i Mapuche, i contadini e gli operai vengono schedati, identificati e detenuti arbitrariamente dai servizi di polizia, spesso senza motivo, nel corso delle sempre più numerose manifestazioni popolari contro un governo che se agli occhi del resto del mondo si presenta come progressista e di sinistra, in realtà non fa altro che cedere alle pressioni della destra conservatrice e che si avvale di un sistema militare e di polizia che altro non è che un tetro retaggio del sistema repressivo in uso da Pinochet.
Aveva detto Michelle Bachelet meno di un anno fa in un intervista concessa ad una emozionata Giuliana Sgrena nel Palazzo de La Moneda: “Pertanto di fronte a quasiasi situazione che si presenti nel futuro dobbiamo imparare a convivere, a sviluppare quella che si chiama amicizia civica, per affrontare e risolvere nel modo migliore, che non vuol dire perfetto, i conflitti di interesse che sempre ci sono all'interno della società.”
Del concetto di “amicizia civica” se mai si è avuto veramente l’intenzione di applicarla ai conflitti sociali, rimangono queste parole. E’ difficile capire se la Presidenta sia incapace di sottrarsi alle pressioni politiche ed economiche che ancora di fatto governano il paese o se abbia prestato la sua facciata progressista da vittima della dittatura ad un gioco politico che ne applica purtroppo ancora i metodi di controllo e repressione sociale.
Di fatto, ad un anno e qualche mese di distanza dalla sua elezione, si contano in Cile, 8.000 detenutii nel corso di manifestazioni sociali o di protesta, diversi prigionieri politici, come i Mapuche e solo nel corso del 2006 circa 209 membri delle forze di polizia sono stati sospesi dal servizio per corruzione o per comportamento disonorevole.
Intanto i cileni si domandano come sia possibile che sotto il governo di una “socialista” un operaio venga ucciso durante uno sciopero e come sia possibile soprattutto che ciò avvenga con un presidente che in prima persona ha vissuto sulla sua pelle gli orrori di una dittatura.