Dieci anni fa, il 22 aprile 1997 si concludeva tragicamente a Lima, nella sede dell'Ambasciata giapponese la così detta “crisi degli ostaggi” iniziata 126 giorni prima, il 17 dicembre 1996.
Allora, 14 appartenenti al gruppo TUPAC AMARU guidati dal comandante Néstor Cerpa Cartolini tennero in ostaggio, in un’operazione chiamata “Rompiendo el silencio” (Rompendo il silenzio), per circa 4 mesi, centinaia di persone appartenenti all’alta società peruviana che si trovavano nell’Ambasciata riuniti per un ricevimento, dopo aver rilasciato i più deboli ed anziani tra i quali la madre del presidente Fujimori.
Fujimori per i quattro mesi del sequestro finse di portare avanti una trattativa con i ribelli i quali chiedevano in cambio del rilascio dei prigionieri la liberazione di alcuni appartenenti al MRTA detenuti presso le carceri peruviane.
Il 22 aprile, complice anche Monsignor Cipriani (arcivescovo di Lima e membro dell’Opus Dei) il quale avendo accesso all’interno dell’Ambasciata per celebrare la messa, riuscì ad introdurre nella stessa una radio e consegnarla agli ostaggi con la quale questi vennero informati preventivamente dell’irruzione delle forze speciali dell’esercito.
I ribelli Tupac Amaru vennero trucidati e con essi Carlos Giusti un magistrato che faceva parte del gruppo degli ostaggi ma che risultava “scomodo” al governo Fujimori per aver più volte ribadito l’indipendenza della magistratura dal potere politico.
Già Human Right Watch all’indomani della presa dell’ambasciata, pur condannando l’azione del MRTA aveva richiamato il governo peruviano e lo aveva invitato ad ascoltare le richieste dei ribelli Tupac Amaru i quali in sostanza oltre alla liberazione dei loro compagni reclamavano condizioni carcerarie più umane e processi giusti, cosa che non avveniva in Perù per i prigionieri politici. Inoltre HRW suggeriva al governo di seguire l’esempio delle trattative portate avanti in una caso analogo, quando guerriglieri dell’M-19 assaltarono l’ambasciata della Repubblica Dominicana in Colombia. In quel caso gli ostaggi furono posti in libertà con la promessa che una delegazione della Commissione Interamericana dei Diritti Umani partecipasse in qualità di osservatore al processo di circa 200 guerriglieri detenuti.
In un comunicato stampa di HRW diffuso dopo la liberazione degli ostaggi e il massacro dei ribelli da parte dell’esercito, si rende noto che molti di essi furono giustiziati dopo essere stati disarmati e catturati vivi. Inoltre nonostante fosse stato promesso ai familiari la restituzione dei corpi per darne degna sepoltura, essi successivamente vennero gettati in fosse comuni.
Riporta testualmente il comunicato di HRW:
“Organismi per la difesa dei diritti umani hanno documentato centinaia di esecuzioni extragiudiziali, incluso vari massacri, per mano di membri delle forze di sicurezza peruviane da quando Fujimori ha assunto la presidenza della nazione.
Il Perù oggi non dimentica la passeggiata macabra di Fujimori tra i cadaveri dei 14 Tupac Amaru, e la sua fuga in Giappone non molto tempo dopo e aspetta con ansia la sua estradizione dal Cile perchè venga condannato finalmente per i crimini commessi.
A Vladimiro Montesinos, all’epoca suo braccio destro e attualmente detenuto nella Base Navale del Callao, per la responsabilità nell’esecuzione extragiudiziale dei 14 Tupac Amaru, il prossimo 18 maggio verrà aperto un procedimento penale per omicidio.
Il Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru, nello stesso giorno in cui cade l’anniversario del massacro all’ambasciata giapponese, diffonde un comunicato nel quale, “chiama all’unità il popolo peruviano, la sinistra , i movimenti sociali e i settori progressisti e invoca un’Assemblea Costituente che sia espressione della volontà popolare”.
Chiede inoltre che venga rispettata la sovranità popolare tradotta in una “politica latinoamericanista dove i popoli decidano autonomamente il loro futuro” Un primo passo per realizzare questo progetto sarebbe “ il ritiro delle basi nordamericane dal Perù e dall’America Latina” , nonché la nazionalizzazione degli idrocarburi, la difesa delle risorse naturali, la difesa dell’Amazzonia e il rispetto delle identità culturali ed etniche del paese.
Alan García rappresenta tuttavia la continuità del progetto liberista applicato dalla dittatura di Fujimori, che almeno nei metodi era intenzionato a restaurare con la proposta, bocciata dal Congresso, di reintrodurre la pena di morte per i prigionieri accusati di terrorismo. Nonostante cresca il malcontento di ampi settori della popolazione e la popolarità dell’attuale presidente vada diminuendo sempre più, per il Perù la primavera appare ancora lontana.