Si notano infatti nella foto che ritrarrebbe Fredy Muñoz, zone di diversa nitidezza. Sebbene Fredy si trovi sullo stesso piano del guerrigliero con la maglietta del Che, la sua immagine appare molto più sfocata e il corpo non sembra corrispondere al suo, sul quale sarebbe stata posta una sua fotografia.
I metodi sono quelli già ben noti della Fiscalía Colombiana, il mezzo è un settimanale che pare si stia prestando sempre più agli interessi del potere militare e paramilitare.
Fredy Muñoz ha prontamente replicato alle accuse con una lunga lettera pubblicata sul sito di TeleSUR e di cui riporto qui di seguito la traduzione: (Qui la versione originale)
"Come preannunciato, una nuova montatura è stata il risultato della campagna di criminalizzazione contro la libera stampa, contro la libertà di espressione e contro la democratizzazione dell’informazione che avanza nel continente con l’ espansione di TeleSUR.
Il 31 gennaio scorso i nostri avvocati ottennero che
la Fiscalía General dello Stato trasferisse il mio processo per ribellione e terrorismo da Cartagena delle Indie a Bogotà.
Processo che è rimasto appeso a un filo con l’infondatezza delle prove annesse e che consistevano in testimonianze contraddittorie di cosiddetti “testimoni burattini” e in “rapporti di indagini” inconsistenti e senza valore probatorio.
Il giorno dopo della notifica da parte dei miei avvocati del trasferimento del processo, il 1 febbraio scorso, una minaccia di morte mi è giunta attraverso la posta elettronica firmata da un gruppo paramilitare identificato come “Aguilas Negras”. In questa nota ci definisce “rospi comunisti travestiti da giornalisti” e ci minaccia di aspettarci la morte.
Dopo questa intimidazione alcuni mezzi di comunicazione hanno iniziato a diffondere la notizia, la domenica del 4 febbraio scorso, che
la Fiscalía avrebbe emesso contro di me un nuovo ordine di cattura, notizia diffusa direttamente da organismi centrali di quell’istituzione. A questo punto già si era organizzata tutta la montatura.
In modo brusco, intempestivo e in linea con i metodi di questo organismo, una mia presunta fotografia in compagnia di guerriglieri delle FARC compare “abbandonata” dai ribelli nello stesso luogo dove era tenuto sequestrato il ministro Fernando Araújo e di cui se ne ha notizia solo oggi un mese e mezzo più tardi. È stato abbinato collegato in modo approssimativo, questo successo, il più sensibile e significativo per l’opinione pubblica negli ultimi mesi, alla persecuzione e alle segnalazioni contro di me.
Questa fotografia è stata definita dalla rivista Cambio come la “prova principe” e affermano i servizi che è stata scattata all’inizio del 2006 mentre allora era dimostrato il mio impegno continuo con TeleSUR.
Un altro mezzo di informazione, assicura in un contesto di irresponsabile ambiguità, che detta foto fu scattata ad aprile 2005 , periodo in cui era risaputo pubblicamente che mi trovavo in fase di consegna del documentario “Il treno che arriva a Clamar” per la serie “Tropici” di Telecaribe.
Seriamente, ho visto e fatto migliori fotomontaggi di questo.
Che modo grossolano e irresponsabile di rivivere una criminalizzazione che è iniziata i primi giorni di maggio 2005 quando quegli stessi servizi di sicurezza colombiani, incentivati dagli Stati Uniti “confusero” il ritornello della canzone “Tieta” di Caetano Veloso e cantato in un passaggio promozionale di TeleSUR da una giovane brasiliana, con un’apologia del gruppo basco ETA, riconosciuto internazionalmente come terrorista.
E seguì con le dichiarazioni del congressista nordamericano Connie Mack sul denaro e sforzo che dedicherebbero da Washington per contenere e bloccare TeleSUR, quando non era andato in onda ancora nemmeno un servizio giornalistico.
Questa piega che prende ora la persecuzione, avallata da un fotomontaggio e dalla pubblicazione irresponsabile da parte della rivista Cambio di informazioni scritte in mala fede, e indiscutibilmente falsa, è inoltre un grave attacco al segreto istruttorio, alla presunzione di innocenza e al nostro diritto alla difesa, aggredito con queste prove che “sono state prodotte” alle spalle dei nostri avvocati.
Insiste questa rivista nel dire, tra le altre falsità, come già dissi nel novembre passato, che nel “mio” appartamento è stata trovata carta intestata delle FARC, quando nella stessa inchiesta e nella sentenza del Tribunale della Corte di Appello che mi concesse la libertà, si dichiara che né l’appartamento perquisito era il mio alloggio, e né dal verbale di perquisizione risulta che fu mai ritrovata della carta intestata.
Ma questo è il risultato del compromesso di alcuni mezzi di comunicazione del paese con gli organi militari e di sicurezza, che in modo irresponsabile pubblicano ciò che gli capita fra le mani, senza nessun rigore né etica giornalistica e con evidente intenzione di causare danno.
Ci troviamo di fronte alla forma più specializzata di coercizione della libertà di stampa e di criminalizzazione della diversità informativa. Così come gli Stati Uniti accusano giornalisti arabi, rifugiati in Francia, di far parte della rete “Al Qaeda” e di aver partecipato alla terribile tragedia dell’11 settembre solo per aver intervistato e informato sulle caratteristiche ed azioni di quel gruppo, qui in Colombia si pretende di detenere l’annunciata espansione di TeleSUR con fotomontaggi come questo.
Ai nostri avvocati è stato negato l’accesso alla pratica, la quale è passata per la città di Cali, fatto inspiegabile secondo i molti giuristi consultati. Non è stato inoltre ancora notificato il pubblicizzato ordine di cattura. Credevamo che le fughe di notizie fossero l’eccezione e invece si scopre che è re la regola, indagando un po’ nel passato dei funzionari giuridici coinvolti in questa montatura.
Il DAS di Barranquilla manovrato dal paramilitare Rodrigo Tovar Pupo, alias Jorge 40 è l’ente che esegue l’arresto. Precedentemente aveva arrestato Alfredo Correa de Andreis, amico e maestro, e una dozzina tra attivisti sociali, studenti, sindacati, dirigenti culturali e maestri.
È provata la partecipazione di paramilitari e agenti di questo corpo nel ripudiato crimine di Alfredo Correa ed di dettagli a sangue freddo trapelati dal personal computer di Jorge 40 , trovato nella proprietà dell’ alias “Don Antonio” un militare in ritiro al servizio del paramilitarismo.
Il pubblico ministero Manuel Hernando Molano Rojas, non specializzato, e con delega alla cosiddetta Unidad de Reacción Inmediata del DAS nel Atlántico, accogliendo la mia richiesta di istruttoria, alla conclusione di essa chiese scusa al mio avvocato per le “irregolarità commesse” e mi disse testualmente “A te quelli che ti vogliono fottere (sic) sono quelli della Marina”.
Il processo giunge allora nelle mani del giudice di terzo grado di Cartagena, Miriam Martínez Palomino, (responsabile di arresti di massa denunciati dal Tribunale del Popolo del Bolívar, conclusi con l’assoluzione dei prigionieri) la quale è seriamente implicata con gruppi paramilitari, come fu denunciato anche da avvocati di parte di Cartagena in una nota dell’anno 2004.
Questi avvocati, stanchi della corruzione e del servilismo della Fiscalía al paramilitarismo, denunciarono in un comunicato che Miriam Martínez Palomino, con Demóstenes Camargo de Ávila, (oggi a capo dei pubblici ministeri di Cartagena, e colui il quale all’epoca accusò Alfredo Correa de Andreis e a dirigenti come Amaury Padilla Cabarcas), e con i pubblici ministeri Pedro Díaz Pacheco e Jesús García Castillo, guidati dal direttore di sezione della fiscalía di Cartagena, erano compromessi con il paramilitarismo.
Alla metà dell’anno 2004 questo gruppo di funzionari giuridici si riunirono, dice il comunicato, in una proprietà in San Jacinto, Bolívar, dell’ex senatore conservatore Rodrigo Barraza, proprietà nella quale giunse una pattuglia della polizia che ebbe uno scontro a fuoco con loro e li scoprì in compagnia dei capi paramilitari, Antonio Orozco Ochoa, alias “el comandante” e Álvaro Rodríguez Pérez, alias “don Rodri” , più otto paramilitari che servivano da scorta.
In possesso di questa congiura di fiscalía-paramilitarismo, si trovarono copie di tutte le pratiche di persone che furono arrestate nella regione, accusati di ribellione e terrorismo.
Ciò nonostante questo accaduto fu cancellato da un ordine della Fiscalía General alla cui direzione in quel momento c’era Luis Camilo Osorio, al quale si attribuiscono ora, dopo le prime libere deposizioni dei capi paramilitari, le più oscure alleanze con queste organizzazioni di ultradestra.
Dalle mani di questi pubblici ministeri uscì il processo che oggi, dopo un inesplicabile passaggio dalla città di Cali, pensa di risorgere sotto il peso di fotomontaggi come quelli mostrati da alcuni mezzi di comunicazione del paese.
Faccio un appello alle associazioni nazionali ed internazionali dei Diritti Umani, alle Organizzazioni Non Governative, alle associazioni che difendono la libertà di stampa, al giornalismo indipendente, alle corporazioni della stampa, alle associazioni degli utenti della stampa, e a tutta la collettività critica e attiva del nostro continente ad essere vigile rispetto all’evolversi di questa situazione.
Nego pubblicamente, quanto affermano in forma tendenziosa gli organismi di sicurezza e i suoi mezzi di corte, che sono uscito dal paese. Dallo scorso 1 febbraio a causa delle gravi e continue minacce contro la mia vita mi proteggo da esse e faccio in modo di proteggere anche la mia famiglia, all’interno del mio paese. Nonostante queste circostanze, i miei avvocati non hanno abbandonato il processo.
Voglio richiamare l’attenzione del Tribunale Nazionale del Popolo affinché garantisca il nostro diritto alla vita , al processo giusto, alla libera espressione e al buon nome, il mio, della mia famiglia e quello dei miei colleghi di TeleSUR in Colombia e che intervenga tra tante e tali sleali minacce."
Fredy Muñoz 14 Febbraio 2007
Traduzione di Annalisa Melandri
Sul sito di TeleSUR ulteriori notizie.
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