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Il generale Mario Montoya coinvolto nel massacro di San José de Apartadó
Di Annalisa (del 25/02/2010 @ 22:54:12, in Colombia, linkato 981 volte)

 
Tre ufficiali colombiani hanno accusato il generale in ritiro Mario Montoya, ex capo dell’Esercito ed attuale  ambasciatore della Colombia in Repubblica Dominicana, di aver partecipato alla pianificazione dell’Operazione Fenix condotta nella regione dell’Urabá e culminata in quello che è conosciuto come il massacro di San José de Apartadó. Esattamente cinque anni fa, il 21 febbraio del 2005,  a San José de Apartadó, venivano brutalmente massacrate otto persone appartenenti alla locale Comunità di Pace. Si trattava di cinque adulti e tre bambini, Natalia e Santiago Muñoz, rispettivamente di 6 anni e 18 mesi e Deiner Guerra di 10 anni, sgozzati con i machete  dopo aver assistito all’omicidio dei loro genitori. Deiner era figlio di Luis Eduardo Guerra Guerra, il più importante leader  della comunità, ucciso barbaramente anche lui.
 
Secondo la recente confessione dei tre ufficiali dell’esercito, resa nel corso del processo che proprio in questi giorni vede implicati 10 militari per responsabilità dirette nel massacro, sarebbe stato proprio Montoya (all’epoca comandante della Prima Divisione) ad autorizzare la Brigata XVII ad avvalersi di guide paramilitari, circa 60 uomini in tutto, per la perlustrazione della zona.
 
Tutti, fin dai primi giorni successivi alla vicenda, dal presidente della Repubblica fino all’ultimo funzionario, fecero la loro parte per garantire l’immunità dei militari implicati nella strage e per sviare le indagini. Sebbene già il giorno seguente il sacerdote gesuita Javier Giraldo e i membri della comunità di Pace avessero denunciato le responsabilità dell’esercito e di un gruppo di paramilitari, lo stesso presidente Álvaro Uribe incolpò pubblicamente invece   la guerriglia delle FARC. Fu negata anche la presenza di truppe dell’esercito nella zona il giorno 21 febbraio, presentando carte geografiche e documenti militari in seguito dimostrati come falsi. Il processo ai dieci militari coinvolti ha rischiato di decadere per decorrenza di termini in quanto le udienze si sono tenute con alcuni mesi di ritardo per la scomparsa dagli uffici della Procura Nazionale di Medellín dove erano custoditi, di 9 fascicoli che contenevano le prove proprio contro i militari.
 
Fu proprio il paramilitare Diego Fernando Murillo Bejarano, alias “Don Berna” a dare l’avvio al processo confessando, nel maggio del 2008,  che il suo gruppo  “Bloque Héroes de Tolová” insieme a militari della XVII Brigata dell’Esercito colombiano aveva compiuto il massacro.
Confessione avvalorata da quella  depositata appena tre giorni dopo,  del capitano in ritiro Guillermo Armando Gordillo Sánchez, arrestato nel novembre del 2007 che ha ammesso la sua   partecipazione all’Operazione Fenix.
 
Mario Montoya, dopo i fatti di San Josè de Apartadó fu promosso capo dell’Esercito della Colombia e i paramilitari “Don Berna” e “Salvatore Mancuso” furono estradati da Uribe negli Stati Uniti per timore di ulteriori rivelazioni.
 
Adesso, dopo che Montoya ha recentemente dato le sue dimissioni   per lo  scandalo dei “falsi positivi” (circa 2000 giovani assassinati da militari e fatti passare come guerriglieri uccisi in combattimento) e dopo la sua “premiazione”  come ambasciatore nella Repubblica Dominicana, l’ulteriore confessione di un altro paramilitare, Daniel Rendón Herrera, alias “Don Mario”, davanti all’Ufficio di Justicia y Paz (il programma di smobilitazione dei paramilitari) aggrava ulteriormente la sua posizione. “Don Mario” accusa infatti l’ex generale  di aver ricevuto 1.500 milioni di pesos da Miguel Arroyave, soldi che gli furono consegnati  per ottenere,  nella guerra contro un altro gruppo paramilitare, l’appoggio dell’esercito al Bloque Centauros al quale egli apparteneva.
 
“Il generale Mario Montoya, grande generale, esempio di efficienza, uomo sincero  che non ha nulla da nascondere, che tutto ciò che pensa o che crede lo dice, con la schiettezza   che lo caratterizza, uomo intraprendente, ha presentato la sua rinuncia, senza che nessuno la avesse richiesta... Io gli dissi: Generale non rinunci per  queste difficoltà, la cosa buona è che tutto sta avvenendo pubblicamente, è stata questa  la regola del governo fin dal principio: che nulla resti nascosto. Non rinunci mio generale, questo lo supereremo”.
 
Questa fu la difesa pubblica del generale Montoya da parte del presidente della Repubblica Álvaro Uribe,  che è anche Comandate Supremo delle Forze Armate della Colombia.
I familiari delle vittime di San José de Apartadó hanno chiesto l’immediato mandato di cattura per Mario Montoya, “esempio di efficienza e uomo che non ha nulla da nascondere”. Probabilmente molto presto egli si vedrà costretto a rinunciare al suo incarico e a ritornare in Colombia per rispondere delle pesanti accuse.
 
Sono gli strani  paradossi colombiani. La giustizia spesso funziona ed  eminenti delinquenti  politici e militari  prima o poi nelle sue maglie ci finiscono. Vengono resi pubblici tramite la stampa nazionale i loro crimini e i loro vincoli con il paramilitarismo. Stampa che è tutta in mano all’oligarchia del paese e soprattutto alla famiglia Santos, la stessa della quale fanno parte anche il vicepresidente della Repubblica, accusato da Salvatore Mancuso di essere vincolato al paramilitarismo, e l’ex ministro della difesa Juan Manuel Santos.  Gli eminenti delinquenti, collusi a vario titolo con i paramilitari spesso  vengono anche arrestati e ricordiamo per tutti il caso noto dell’ex capo del DAS, i servizi segreti colombiani, Jorge Noguera Cote, poi console a Milano,  accusato di aver aperto le porte di quella struttura e di averla consegnata ai paramilitari, per i quali compilava liste di persone da uccidere.
 
A volte prima ancora che vengano formalmente avviati  i procedimenti penali contro questi para-paramilitari, essi vengono  promossi con incarichi diplomatici, consolati e ambasciate in vari luoghi del mondo, alcuni considerati “strategici” per i servizi di sicurezza colombiani.
 
Lo stesso Montoya fu inviato in Repubblica Dominicana   a sostituire Juan José Chaux arrestato nel maggio del 2009 all’aeroporto di Bogotà per essersi incontrato in più di una occasione con alcuni dei più importanti capi paramilitari colombiani. Ma non era soltanto quello  probabilmente lo scopo della sua nomina. In Repubblica Dominicana i servizi segreti colombiani, in combutta con la CIA e con quelli israeliani, hanno cercato almeno due volte di organizzare piani per attentare alla vita del dirigente comunista dominicano Narciso Isa Conde, sempre solidale con le diverse forme di lotta di liberazione del popolo colombiano e fortemente critico del governo di Uribe, il quale lo ha accusato pubblicamente in varie occasioni di essere “un terrorista”. Ma c’è dell’altro...
 
La Repubblica Dominicana sta diventando in questi ultimi anni la propaggine caraibica di tutto il traffico di stupefacenti proveniente dalla Colombia, un narco-stato in cui la corruzione,  proprio come in Colombia,  impera nelle strutture politiche e tra gli  alti vertici militari del paese, che restano ai loro posti nonostante alcuni scandali recenti che hanno visto militari coinvolti in vicende  di narcotraffico con criminali colombiani.  Esistono vincoli criminali tra uomini dei servizi segreti colombiani, militari e generali dominicani (molti di loro appartenenti alla Direzione Nazionale del Controllo Anti Droga e alla Marina di Guerra) e lo stesso generale Montoya.  
 
Tornando alla Colombia, strani paradossi, dicevamo. Tutti sanno tutto, le notizie sono di dominio pubblico almeno nel paese  e qualcuno finisce anche in galera. Liste di uomini da squartare con motoseghe, giudici poco malleabili costretti alle dimissioni, paramilitari utilizzati come guide turistiche per massacri dell’orrore, soldati ubriachi  che giocano a palla con le teste dei contadini ... ma il Maestro Uribe, il burattinaio,  resta al suo posto, anzi si fa rieleggere (fraudolentemente) e pensa a come riprovarci per la terza volta...
 
E si ostinano a chiamarla democrazia ...