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Anche le formiche soffrono di insonnia
Di Annalisa (del 26/08/2009 @ 04:12:19, in Poesie mie/Mis Poemas, linkato 1612 volte)

 

Da quando ne ho memoria, per me è sempre stato così. Fin da piccola. Da bambina solidarizzavo con le formiche quando mio fratello e i suoi terribili amici le bruciavano dopo averle cosparse di alcool. Loro ridevano nel vedere quelle fila di corpicini carbonizzati sui muri, io piangevo e li odiavo. Io che le studiavo, che "a faccia per terra e culo per aria" come mi diceva mia madre, passavo le ore a seguirle, ad osservarle, a disegnarle, ammirata di tanta solidarietà ed organizzazione, per la mia ricerca di seconda elementare. Le ho sempre amate le formiche. “Le formiche sono comuniste” ho sempre pensato. Quell’atto di bruciarle ripensandoci, mi fa venire i brividi oggi.Ci stermineranno tutti?
 
Me ne andavo sola per campagne e boschi, in una Napoli ancora vivibile, e almeno lì sulla collina magica dei Camaldoli, libera dal cemento, sognando di guerre passate delle quali scoprivo ordigni abbandonati, di lotte tra bande rivali nel casale della contessa, diroccato e teatro di oscuri traffici, la scoperta dei capanni dei "botti" illegali, era tutto magico per me.
 
Vivevo in una classica famiglia borghese. Ma per me tutto aveva origine dal basso. Ora riesco a capirlo. Mi affascinava la natura e i suoi misteri, nello spettacolo della quale, mi ritagliavo ruoli fantastici, mi incuriosiva la vita dei contadini, e quella degli uomini e delle loro malefatte. Più grande al liceo, piccola tra i grandi, l’occupazione, le manifestazioni con gli operai. Che ne sapevo io, appena quindicenne, degli operai. Ma lì volevo e dovevo stare. Non dovevano essere soli.
 
Nessuno doveva essere solo. Così i randagi, animali, uomini e amici,  entravano e uscivano dai miei anni.
 
Una volta ricordo che partimmo in auto verso la Sicilia. Vacanze. Per il viaggio appesi degli strofinacci dietro ai finestrini perchè mi facessero ombra durante il viaggio. Mio fratello, otto, nove anni, si arrabbiò tantissimo. “Sembra la macchina degli zingari” mi disse urlando. Forse è da allora che li ho amati, gli zingari.
 
E io ridevo, mi piaceva sentirmi una zingara, forse lo ero, lo sono tutt’ora. Mi piaceva immaginarmi zingara. In realtà in quel momento ero solo la figlia di una famiglia borghese che partiva per le vacanze al mare.
 
Ma zingara lo sono nel cuore, credo e come gli zingari sto in basso. Quella litigata con mio fratello mi ha segnata per sempre e non la dimenticherò mai. E’ stata simbolica. Il simbolo di differenze inconciliabili,  il simbolo di quello che poi fu ed è. Una frattura.
 
E stanotte che non riesco a dormire, ripenso a queste ultime mie giornate, appena tornata dalle vacanze, con tutto il peso dei mali del mondo sulle spalle. Stanotte pesa di più, con il pianto del cognato di F. in testa, il sangue di Carlo, "sangue nostro", con il volto di Cristina, la figlia di  Francisco, scomparso in Messico due anni fa, difensore dei diritti umani, con la faccia stampata in mente dell’ambasciatore colombiano, la stesso che ho rivisto oggi in fotografia, il suo curriculum pesante di corruzione e crimine e le sue parole durante l’incontro avuto all’ambasciata.
 
Dovrei uscire mi dico, tutto il giorno passato al pc tra morti, sangue, violenze, scomparsi, a fare mia ogni lotta, da quella dei fratelli mapuche (un altro ragazzo ammazzato alle spalle, una ventina rifugiati nei villaggi feriti che non vanno negli ospedali per paura di essere arrestati, mi ha raccontato oggi Violeta) a quella dei compagni in resistenza da oltre un anno del mercato di Coyoacan, lettere, mail, petizioni, telefonate, proteste da organizzare, l’articolo denuncia da scrivere, i morti sul lavoro di luglio, una strage continua, i morti in mare, cimitero liquido italiano.
 
Dovrei uscire, ma esco e mi ritrovo a scaricare libri in biblioteca, così tanto per dare una mano, mi dico.
 
Dovrei uscire.
 
Domani sera c’è Ascanio Celestini all’Isola Tiberina. Celestini sul Ruanda. Ho deciso, ci vado. Per non dimenticare il Ruanda.