All’ONU, alla vigilia di quella che sta diventando sempre più la giornata internazionale contro il terrorismo, oggi hanno parlato le vittime.
Quelle sopravvissute agli attacchi delle Twin Towers, come quelle scampate agli attentati kamikaze a Gerusalemme, i familiari dei morti della strage di Beslan, come quelli rimasti uccisi negli attentati di Bali, quelli di Londra, come quelli di Madrid. C’erano anche i familiari degli attentati delle Brigate Rosse e ovviamente non poteva mancare Ingrid Betancourt, relatrice principale della giornata.
L’evento, il primo Forum Internazionale di Supporto alle Vittime del Terrorismo è stato organizzato a New York dal segretario generale dell’ONU, Ban Ki Moon .
E’ interessante però ricordare qui quale fu il manifesto di guerra pronunciato da George Bush davanti al Congresso degli Stati Uniti il 20 settembre del 2001, 9 giorni dopo l’attacco alle Torri Gemelle:“La nostra guerra contro il terrore comincia con Al Qaeda ma non termina lì. Non terminerà fino a quando ogni gruppo terrorista a livello mondiale non sia stato trovato, fermato e sopraffatto”.
L’11 settembre ha ufficializzato un prima e un dopo. Il terrorismo prima e il terrorismo dopo. La lotta contro il terrorismo prima e la lotta contro il terrorismo dopo. Da quel momento sono cambiati metodi e strategie. In questo senso l’11 settembre è stata una data epocale. Ha segnato un mutamento in quella che è la percezione collettiva della paura e nell’ identificazione dei nemici. Lo Stato che ha scatenato più guerre e conflitti nel mondo, che ha finanziato e sostenuto alcuni dei regimi dittatoriali più sanguinari e violenti, che legittima la tortura e la pena di morte, che viola impunemente i diritti umani, che fa e disfa assetti geopolitici mondiali a suo esclusivo uso e interesse, si è assunto l’onere di stabilire ufficialmente dall’11 settembre in poi chi è terrorista e chi non lo è. A questo è servito l’11 settembre e non solo a creare nuovi impianti petroliferi in Iraq come molti credono. La grande opportunità è stata questa. Da allora tutto è permesso nel nome della sicurezza mondiale.
“Terrorismo” è un concetto vago e difficile da applicare alle diverse situazioni e persone. Implica valutazioni sociali ed economiche complesse, analisi storiche e politiche. Niente di tutto questo interessa più dopo l’11 settembre. I criteri di giudizio si sono semplificati, la prospettiva notevolmente ridotta. Nemmeno il ricordare clamorosi errori di valutazione del passato basta più. Si ha come la sensazione che i giudizi futuri saranno senza possibilità di appello. Anche Nelson Mandela era considerato un “terrorista” e Gandhi prima di lui.
Lo stesso Osama Bin Laden era considerato un eroico combattente da Ronald Reagan , nel 1985. Adesso è il diavolo in persona. Il primo terrorista della storia probabilmente fu Gesù, e fu necessario allora torturarlo e metterlo su una croce per farlo stare zitto.
I Mapuche sono terroristi e lo Stato che li perseguita e li ammazza no. I paramilitari colombiani nessuno li ha mai chiamati terroristi anche se girano armati di motoseghe e squartano bambini.
Ci sono vittime di serie A e vittime di serie B. Non sono vittime del terrorismo oggi i 90 morti di Azizabad in Afghanistan quasi tutti donne e bambini, uccisi da un raid statunitense qualche settimana fa, non sono vittime del terrorismo i palestinesi o, andando indietro con la memoria i morti di Hiroshima e Nagasaki, o i 350 mila uomini e donne assassinati dalle dittature latinoamericane finanziate e appoggiate dagli Stati Uniti, non sono vittime del terrorismo i corpi che si continuano a trovare in Colombia fatti a pezzi e gettati nelle fosse comuni. Solo per citare alcuni dei grandi esclusi dalla festa globale contro il terrorismo patrocinata dallo Stato terrorista per eccellenza.