“Iluminemos México” (illuminiamo il Messico) è stato lo slogan che ha identificato la marcia organizzata contro la delinquenza e l’inefficacia del governo a fronteggiarla e che si è svolta sabato 30 agosto a Città del Messico. Si calcola che vi abbiano partecipato circa 200 mila persone, forse più, ognuna delle quali portava una candela accesa per “illuminare” simbolicamente il baratro di violenza nel quale sembra essere precipitato il paese negli ultimi tempi.
Tuttavia questa manifestazione non esprime i desideri e il sentire di tutta la società messicana.
Questa marcia esprime soltanto il timore di una piccola porzione di essa che si sente minacciata dalla criminalità organizzata nei suoi affetti e nei suoi interessi.
Alla quale appartenevano per esempio il piccolo Fernando Martí, appena 14 anni, figlio dell’imprenditore Alejandro Martí, sequestrato e poi trovato morto il 1 agosto scorso dopo il pagamento di un riscatto di 5 milioni di pesos e Silvia Vargas Escalera di 19 anni, figlia del titolare della Commissione Nazionale dello Sport, sequestrata il 10 settembre del 2007 e di cui non si hanno più notizie da quella data.
Due nomi e due volti apparsi sulle prime pagine di tutti i giornali nazionali per settimane e il dramma delle loro famiglie trasmesso in televisione per mesi.
Due storie che hanno provocato, giustamente, indignazione e rabbia nella gente che sono state raccolte dagli organizzatori della manifestazione, appoggiata tra gli altri anche dal gruppo di estrema destra del Yunque e sostenuta dal governo, dalla Chiesa e massicciamente dai mezzi di comunicazione nazionali.
Una marcia quindi anche e soprattutto con forte rilevanza politica, si chiede a Carlderón (e il Yunque da tempo lo fa) maggior sicurezza e maggior militarizzazione del paese, come se quella imponente già messa per le strade non fosse sufficiente. E tale richiesta va di pari passo con le istanze che di fatto tendono a polarizzare il paese: la penalizzazione dell’aborto (recentemente depenalizzato nel Distretto Federale), la privatizzazione della Pemex, la compagnia petrolifera del paese, la criminalizzazione della protesta sociale e l’applicazione di politiche neoliberiste che rappresenterebbero ulteriore miseria e povertà per milioni di messicani. Inoltre a tratti, gli slogan della marcia si sono dimostrati anche e soprattutto essere, slogan contro Manuel López Obrador, da più di mezzo paese considerato il presidente legittimo del Messico, che se pur ha perso qualche consenso, continua ad essere amato e rispettato.
Restano invece dimenticati da questa società, dalla Chiesa, dal governo e dai principali media i nomi dei 23 desaparecidos registrati dall’inizio del mandato di Felipe Calderón, in cima alla cui lista figurano quelli dei due integranti dell’EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario) Edmundo Reyes Amaya e Alberto Cruz Sánchez, scomparsi da Oaxaca il 25 maggio del 2007 e quello di Francisco Paredes Ruiz, difensore dei diritti umani scomparso da Michoacán il 26 settembre del 2007 e per i quali nessuno è disposto a marciare.
Questa lista include soltanto nomi per i quali si sospetta unicamente un movente politico, per cui i casi di sparizioni forzate o sequestri indiscriminati (levantones) sarebbero molti di più, circa 600, come denuncia la rivista Proceso.
Purtoppo spesso le vittime dei levantones vengono poi ritrovate in qualche discarica decapitate o con il corpo squarciato e queste morti vengono associate a crimini legati al narcotraffico o alle delinquenza comune. Ma non è sempre così, nel mucchio dei numeri cadono anche giovani, leader di comunità contadine o indigene, innocenti cittadini o attivisti politici e sociali. I familiari delle persone scomparse, come accadeva negli anni della “guerra sucia”, hanno anche oggi paura a sporgere denuncia alle autorità i per timore che i nomi dei loro cari vengano gettati nel gran mucchio dei morti della guerra al narcotraffico di Felipe Claderón.
E quando invece vengono sporte le denunce i nomi vengono presto dimenticati dalle istituzioni, le quali si rifiutano o sono incapaci di fornire notizie di queste persone, e dai mezzi di comunicazione, che riservano il loro spazio a scomparsi di ben altra estrazione sociale. Nomi come quelli di Virginia e Daniela Ortiz Ramírez, 20 e 14 anni, indigene di etnia Triqui dello stato di Oaxaca, scomparse più di un anno fa. Tutto un’altro Messico, diverso da quello che ha sfilato sabato, da dimenticare in fretta e per il quale non vale la pena di marciare né di accendere candele, il Messico vittima dell’abuso di potere delle forze di polizia e di quella stessa militarizzazione che si chiede venga intensificata.