La Repubblica e le false interviste, il Venerdě in realtá non chiarisce nulla
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Quella che doveva essere la smentita alla notizia (denunciata da un articolo di Maurizio Matteuzzi pubblicato sul Manifesto), che almeno una delle grandi interviste, quella al presidente colombiano Álvaro Uribe, realizzate da Jordi Valle e pubblicate dal Venerdì di Repubblica lo scorso 11 luglio era falsa, in realtá ben poco chiarisce su tutta la vicenda.
In particolare, la smentita, preannunciata da una lettera che lo stesso capo redattore del Venerdì, Attilio Giordano, aveva inviato nei giorni scorsi alla sottoscritta in risposta alla richiesta di chiarimenti sulla vicenda, avrebbe dovuto spiegare se Jordi Valle aveva incontrato, dove e come, Álvaro Uribe lo scorso 26 giugno. Incontro che era stato negato dalla stessa presidenza della repubblica della Colombia in un comunicato apparso sul sito ufficiale del governo.
In realtà sul Venerdì di Repubblica di ieri, quella che appare in un angolo poco visibile del giornale è una lettera dell’ambasciatore colombiano a Roma, Sabas Pretelt de la Vega, che non smentisce il suo governo ma piuttosto sembra rettificare soltanto una parte della presunta intervista, quella in cui Álvaro Uribe parla di politica statunitense: "Sfortunatamente, sul numero dell'11 luglio del vostro giornale è stato pubblicato un articolo che fa riferimento alla campagna elettorale negli Stati Uniti e mi permetto di chiarire che il Signor Presidente Alvaro Uribe Vélez giammai si è riferito in termini squalificanti verso nessun candidato alla Casa Bianca."
La lettera continua senza riferimenti né a Jordi Valle, né all’intervista con le FARC (sulla quale pure esistono ragionevoli dubbi), né soprattutto al fatto che dal citato comunicato del governo colombiano risulta che il signor Jordi Valle non risulta essere entrato in Colombia : “Según registros migratorios del Departamento Administrativo de Seguridad (DAS), quien dice llamarse Jordi Valle,… no ha ingresado a Colombia.”
La lettera dell’amabasciatore colombiano Sabas Pretelt de la Vega, nulla chiarisce ma anzi rende tutta la vicenda ancora più vergognosa, sembra infatti il raggiungimento più un accordo tra diplomazia e grande editoria. E se i dubbi sull'onestà dei nostri mezzi di informazione li abbiamo da tempo, giova forse ricordare a questo punto di quale diplomazia si tratti. Di quella colombiana, che nel nostro paese in tre anni ha visto nell’ordine venire richiamati in patria prima il console colombiano a Milano, Jorge Noguera Cote, poi arrestato nel suo paese con l’accusa di aver permesso l’infiltrazione di gruppi paramilitari di estrema destra del DAS, successivamente l’ambasciatore a Roma Luis Camilo Osorio, prima trasferito in Messico e poi richiamato in patria per rispondere in tre processi tuttora aperti in cui è accusato di aver favorito l’ingerenza dei paramilitari quando ricopriva la carica di Fiscal General tra il 2001 e il 2005.Ora tocca all’attuale ambasciatore Sabas Pretelt de la Vega, inquisito nel suo paese per lo scandalo della Yidispolitica, cioè la vendita di voti per permettere la rielezione di Uribe. Sabas Pretelt avrebbe corrotto direttamente la senatrice Yidis Medina che si trova attualmente in carcere quando egli era ministro dell’interno nel suo paese. Probabilmente anche lui presto sarà richiamato in patria, non senza aver rilasciato prima favori a qualcuno qui da noi.
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qui di seguito l'articolo di Maurizio Matteuzzi pubblicato sul Manifesto del 2 agosto:
LA POLEMICA
Due lettere e tante interviste impossibili
Maurizio Matteuzzi
Sul manifesto del 20 luglio è uscito un articolo intitolato «Gli scoop di Jordi, la nostra invidia» in cui si sollevava qualche dubbio, misto a meraviglia, sulle strabilianti interviste firmate di recente da Jordi Valle - interviste impossibili per noi mestieranti: Garcia Marquez, Hugo Chavez, Alfoso Cano (il nuovo leader delle Farc, ben due volte), Alvaro Uribe - e anche qualche perplessità sulla loro collocazione. «Relegate» sul Venerdì di Repubblica, anziché «sparate» nel quotidiano, la nave ammiraglia, come avrebbe fatto qualsiasi altro giornale del mondo. Subito dopo Jordi Valle ha inviato una lettera al manifesto. Questa qui sotto (leggermente ridotta per ragioni di spazio). «Leggo il pezzo a firma Matteuzzi. Chapeau ci sta giusto bene, dato che Le Monde ha pubblicato e pubblicherà del famoso riscatto e di un Cano che non è vero non abbia rilasciato interviste da tempo. (...) Non voglio entrare nel merito del "relegare" (...). Per la stima che ho sempre ho avuto per Attilio Giordano. Anzi anche per il coraggio di fare "giornalismo". Quel giornalismo che ha perso curiosità e la voglia di scandagliare e "cercare" le notizie! Sì, passione. Quella passione che genera la "ricerca". (...) Ho vissuto lunghi anni in sud America (...), ho imparato a conoscere "gente". E ne ho scritto (...). I tempi cambiano, le grandi firme invecchiano. Mi sembra che gli "scribacchini" (mi permetto un termine con cui chiamo me stesso, e solo me stesso) abbiano perso la curiosità. (...) Dopo la polemica, montata da un free lance colombiano con radio Caracol, c'è stata una precisa presa di posizione dell'Ambasciata Colombiana, che ringrazia il Venerdì di Repubblica per la collaborazione, e scuse in diretta (...) di Maria Molina su Radio Caracol. E una lettera che ho ricevuto autografa da pochi minuti di solidarietà del Marquez. (...). Senza curiosità il giornalismo scivola (anche al manifesto?) su chine di standardizzazione. (...) Con stima, Jordi Valle». Ringraziamo Jordi Valle per la lettera. Solo due precisazioni. La prima: «una precisa presa di posizione dell'ambasciata colombiana»? È vero che nella lettera uscita ieri sul Venerdì di Repubblica, l'ambasciatore Sabas Preteit De la Vega «ringrazia» il settimanale per l'affettuosa «collaborazione» alle gesta di Uribe e nega solo che «il Signor Presidente» abbia usato le parole «squalificanti» sul nero Barack Obama attribuitegli nell'intervista. Tuttavia «fonti dell'ambasciata« colombiana a Roma - che hanno nome e cognome - (mi) dicono che «per l'ambasciata la posizione resta quella del comunicato ufficiale della presidenza della repubblica». Che il 18 luglio parlava di «una lettera di smentita inviata alla direzione del giornale» (certo non la missiva dell'affettuoso ambasciatore uribista), di Uribe che «non si è mai incontrato con il signor Valle né gli ha mai concesso alcuna intervista», della polizia di frontiera a cui non risulta che nessun Jordi Valle «sia mai entrato in Colombia». La seconda: le «scuse in diretta di Maria Molina su Radio Caracol», dopo che l'emittente colombiana gli aveva dato del «mitomane». Maria Molina, raggiunta per telefono, (mi) dice che «nessuna scusa in diretta. Il signor Valle ha minacciato di querelarci ma noi non abbiamo niente da ritrattare». Resta il mistero Repubblica. Che sia solo la vecchia pratica dei giornali italiani di spacciare fuggevoli incontri da lontano (o anche peggio) per «interviste esclusive»? Voci maligne (mi) dicono che una «intervista» a Cano (un'altra!) annunciata da Valle di imminente uscita su Le Monde sia stata rifiutata perché non corredata da prove inconfutabili di autenticità. Almeno finora. Ha ragione Jordi Valle. Per fare questo mestieraccio ci vuole curiosità, voglia di scavare, coraggio. E anche molta fantasia.
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