Arrivo a Oaxaca alle 3 del mattino in autobus, 7 ore di viaggio da Città del Messico.
Domandiamo al tassista che ci sta accompagnando in albergo se la situazione sia tornata tranquilla dopo la violenta repressione di un anno fa della protesta civile dei maestri e del movimento sociale della APPO e dopo gli ultimi gravi episodi del 17 luglio di quest’anno, quando in occasione della festività della Guelaguetza popular sono state arrestate circa trenta persone e un uomo si trova tutt’ora in gravissime condizioni in ospedale. Come infastidito dalla domanda, a mezza bocca e a bassa voce ci dice che adesso la situazione è più tranquilla, che ci sono turisti e che "quelli della APPO sono tornati da dove sono venuti, erano venuti da fuori a creare problemi" dice.
Sembra non crederci nemmeno lui. Si intuisce che non e’ contento di parlare di quello che e’ successo e nei giorni successivi avrò modo di rendermi conto che questo è un sentimento abbastanza diffuso qui. La gente di Oaxaca prova imbarazzo e fastidio a raccontare quello che e’ sucesso a una turista occidentale. Loro che vivevano e vivono quasi esclusivamente di turismo soltanto adesso tirano un respiro di sollievo e vedono riprendere le loro attività. Mi rendo conto di come la criminalizzazione del movimento abbia raggiunto i risultati sperati.
La campagna che è stata portata avanti dal governo statale e che ha fatto passare i maestri della Sección 22 del Sindacato Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione e gli appartenenti alla APPO come dei delinquenti violenti o peggio dei terroristi ha attecchito presso la popolazione, soprattutto fra coloro i quali hanno risentito maggiormente, in termini economici, delle conseguenza della protesta civile, e cioè gli operatori del turismo, i commercianti, i tassisti. Ci sono infatti, due anime distinte che convivono qui ad Oaxaca, coloro i quali condannano la APPO e il movimento sociale, i più vicini al governo panista, quelli che si sono lasciati maggiormente manipolare dalla campagna che ha dipinto il movimento sociale di Oaxaca come una fucina di violenza e terrorismo, e l’anima più popolare, quella indígena, che parlando per strada o nei negozi dice senza timore che "Ulises tiene que caer", deve cadere. E come accade spesso, nel mezzo prendono posto gli indifferenti. "Ruiz está sordo" mi dice una vecchia contadina in un taxi colectivo, mentre l’autista le risponde "sono tutti uguali, basta che mi lascino lavorare".
Il governatore di Oaxaca è sordo alle richieste dei settori più poveri dello stato che chiedono di poter disporre più autonomamente delle risorse naturali e soprattutto di beneficiarne e sordo alle richieste di maggior attenzione rispetto alle necesità primarie di educazione, salute, lavoro. Il popolo dello stato di Oaxaca non si sente rappresentato dal suo governo e questa forse è stata e continua ad essere, anche se portata avanti diversamente, la vera anima della protesta. Jessica Sánchez della LIMEDDH di Oaxaca, che incontro nel suo ufficio e che ringrazio per la disponibilità ed il tempo che mi ha dedicato, mi dice che paradossalmente è un bene che Ulises Ruiz sia ancora al suo posto, questo infatti sta permettendo a diversi settori della popolazione di organizzarsi e di approntare nuovi metodi e tappe di lotta. Forse è proprio questa la nuova consapevolezza e maturitá che si percepiscono adesso a Oaxaca.
Oaxaca e’ tranquilla e solare. Lo Zócalo risuona delle voci dei bambini, c’è la musica , la gente che passeggia o pranza sotto il porticato. Questa atmosfera deve essere ben diversa da quella che si respirava appena un anno fa. Vado al mercato Benito Juárez per la colazione, in uno dei tanti comedores. Mi lascio condurre da colori ed odori e mi sembra bellissimo. Torno in piazza, è in festa, oggi è domenica e molte persone giungono dai villaggi vicini. L’unico servizio di sicurezza è rappresentato da quattro donne della polizia municipale, che percorrono la piazza sorridendo, ogni tanto fermandosi in un angolo a chiacchierare con un collega che sembra un bambino. E’ come se la città intera abbia esorcizzato l’accaduto, lo abbia riimosso, molti addirittura ignorano i motivi degli ultimi scontri del 16 luglio e parlano di ciò che è avvenuto lo scorso anno come se si trattasse di qualcosa accaduto molto tempo prima e in un altro luogo. Oaxaca adesso ha bisogno di tempo, del suo tempo, per risorgere e trovare pace mentre la sua gente, a un prezzo molto alto, si sta lentamente riappropriando della sua coscienza civile.