Da Oaxaca giungono segnali preoccupanti che mostrano chiaramente che, nonostante le rassicurazioni del governatore dello Stato Ulises Rúiz, la situazione è tutt’altro che tornata alla normalità dopo i tragici avvenimenti dell’anno scorso.
La lucha sigue, la lotta continua, come concludono i numerosi messaggi che giungono dalla cittadina messicana.
Il 16 luglio, giornata conclusiva della Guelaguetza magisterial - Popular, (come è stata ribattezzata l’antica festività indigena della Guelaguetza l’anno scorso dalla APPO e dalla XXII sezione del Sindacato dei Lavoratori dell’Istruzione di Oaxaca), ci sono stati violentissimi scontri tra gli organizzatori della manifestazione folkloristica e diversi reparti della polizia agli ordini del governatore Rúiz e della Presidenza della Repubblica.
La Guelaguetza Popular è stata organizzata dalla Appo e dal sindacato dei maestri per distinguere la festa popolare indigena dalle celebrazioni governative e ufficiali che si terranno a Oaxaca per tutto il mese di luglio e che hanno conferito ormai da anni un aspetto commerciale e consumistico a questa festività che ha a che fare con le antiche tradizioni di solidarietà e partecipazione comunitaria tra le 16 diverse etnie indigene dello stato di Oaxaca.
Purtroppo, l’ultimo giorno dei festeggiamenti, ai circa 10 mila manifestanti era stato negato l’uso dell’auditorium del Cerro del Fortín, luogo di grande valore simbolico per la città. Dopo due giorni di festeggiamenti svoltisi pacificamente per le vie del centro con sfilate in abiti tradizionali e con balli e canti, lunedì alcuni organizzatori tuttavia, pur avendo optato per svolgere lo spettacolo finale nella Plaza della Danza, avevano deciso di protestare contro la polizia che aveva vietato l’uso del Cerro e che si trovava nelle sue vicinanze per presidiarlo.
Ne sono nati violenti scontri in cui le forze dell’ordine hanno fatto un uso massiccio di gas lacrimogeni, lancio di sassi e manganellate contro gli organizzatori della manifestazione. Il bilancio è stato di circa 76 detenuti di cui alcuni minorenni, e quaranta feriti alcuni gravi.
E così mentre nel Cerro del Fortín tra lacrimogeni e pestaggi si recitava l’ultimo atto di quello che era uno spettacolo annunciato da tempo, nella Plaza della Danza, sotto una pioggia leggera, migliaia di persone assistevano agli spettacoli di ogni delegazione indigena con le offerte al pubblico della “Guelaguetza”: frutta, artigianato e prodotti tipici nella manifestazione più tipica della solidarietà tra persone, quella dell’offrire doni.
Il giorno dopo l’accaduto la APPO in una conferenza stampa ha denunciato che “gli scontri e l’organizzazione sono stati perfettamente programmati e ci sono stati militari vestiti da civili con abiti scuri che hanno iniziato l’aggressione, attaccando con gas, pietre e sparando”.
A gran voce ora vengono nuovamente richieste le dimissioni di Ulises Rúiz.
È trascorso un anno dallo sciopero dei quasi sessantamila maestri dello stato di Oaxaca, che il 24 maggio 2006, riuniti nello Zócalo cittadino chiedevano niente altro che uno stipendio adeguato al costo della vita e condizioni lavorative più degne.
La violenta repressione delle forze di polizia ordinata dal governatore Ulises Rúiz del 14 giugno 2006 e la mancata volontà del governo di giungere ad un accordo, hanno fatto sì che uno sciopero iniziato esclusivamente per rivendicazioni sindacali si trasformasse in una vera e propria mobilitazione popolare.
La società civile tutta, giovani, contadini, militanti della Otra campaña zapatista, associazioni di indigeni e privati cittadini, si riunì allora intorno ai maestri e in una comunione d’agire e di intenti e con una rapidità sorprendente dette vita alla APPO, (Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca) risposta civile e organizzata alla repressione violenta contro una categoria da sempre considerata in Messico dalla popolazione con grande rispetto per il ruolo spesso preponderante nell’intermediazione culturale tra le comunità indigene e la nuova società.
Si chiesero a gran voce le dimissioni del governatore violento dello stato, Ulises Rúiz Ortz, ritenuto il principale responsabile della situazione. Dimissioni che non sarebbero mai arrivate..
Questi duri mesi sono costati ad Oaxaca una ventina di morti e centinaia tra feriti e detenuti, tra i quali Flavio Sosa Villavicencio, leader della Appo ancora in carcere, numerosi sono stati inoltre i casi registrati di gravi violazioni dei diritti umani, come la tortura e la violenza sessuale.
Intanto, è notizia recente, il giudice Juan N. Silva Meza della Corte Suprema di Giustizia Messicana proponendo formalmente alla corte l’avvio di indagini nello stato di Oaxaca per le numerose violazioni dei diritti umani, come da resoconto della Commissione Nazionale per i Diritti Umani nonché da numerosi osservatori internazionali, ha detto che “le autorità federali, statali e municipali hanno violato gravemente le garanzie individuali nello stato di Oaxaca nel periodo che va dal 2 giugno al 31 gennaio scorso”.
Oaxaca rappresenta in questo momento il punto focale indicativo della direzione che prenderà il paese nei prossimi mesi, anche se ormai è ben chiaro che la svolta repressiva impressa dal governo del presidente Felipe Calderón sta già dando i suoi frutti.
Con una campagna mediatica puntigliosa, di quelle che di solito in Messico e in tutto il Sud America accompagnano episodi così gravi della violazione dei diritti umani e dello smantellamento improvviso dello stato di diritto, si stava cercando di far passare l’idea che la APPO si trovasse in un momento di difficoltà nell’indecisione sulla strategia da seguire, ma questo nuovo tragico episodio e la risposta comune che ne è seguita hanno dimostrato che la sua forza di coesione tra le varie realtà sociali è ancora forte.
Soprattutto intorno alla APPO si vanno manifestando giorno dopo giorno sempre maggior fiducia e rispetto da parte della popolazione. Hanno giocato particolarmente a favore della credibilità della APPO, dimostrando chiaramente la persecuzione a cui sono stati sottoposti i suoi membri un anno fa, le scarcerazioni che stanno avvenendo in massa delle centinaia di persone che erano state detenute e condotte nelle carceri di massima sicurezza con le accuse più gravi e senza motivazioni legittime.
Flavio Sosa, leader e portavoce principale della APPO, resta ancora nel carcere di massima sicurezza del Altiplano, probabilmente a mò di monito per chi dovesse seguirne l’esempio, dove per circa sei mesi è stato rinchiuso in una piccolissima cella con la luce accesa 24 ore al giorno e svegliato continuamente ogni ora.
Occorre poi riflettere sul particolare momento in cui è avvenuta questa nuova controffensiva verso la APPO.
A Oaxaca infatti, il prossimo 5 agosto ci saranno le elezioni per scegliere 42 deputati locali.
Probabilmente in un governo molto debole che riesce ad avere potere solo tramite l’uso della forza fa molta paura un movimento sociale, che sebbene non contempli la scena politica come luogo di agire, acquista sempre più maggior vigore e credibilità.
Si dice che la repressione contro la APPO sia stata una delle più violente che la storia del Messico moderno ricordi.
Probabilmente la APPO fa ancora più paura di Marcos e della Otra Campaña, mentre questa si rivolgeva essenzialmente alle popolazioni indigene e contadine particolarmente del Sud del Messico, e aveva per lo più valenze “comunitarie” (e forse questa è stata la sua forza di immagine iniziale ma anche il suo limite) la APPO si ramifica anche nella cosiddetta società civile raccogliendo consensi anche fra comuni cittadini, dimostrandosi in questo senso potente come una forza politica. La APPO fa ancora più paura della Otra Campaña in un momento in cui si vocifera di un Marcos sempre più isolato in giro per il Messico e di una Otra in pausa di riflessione.
La Asamblea ha invece chiaramente espresso, con voce unitaria la sua sfiducia nella politica, ha ribadito il suo essere movimento popolare dal basso, democratico e indipendente dallo Stato e dai palazzi.
Il PRI a Oaxaca d’altra parte ha fatto di tutto per escludere la partecipazione alla politica alle persone vicine alla APPO e al movimento sociale di Oaxaca e per far questo ha addirittura candidato figure vicine a Ulises Rúiz.
Probabilmente l’aggressione del 16 luglio non è altro che una manovra politica per indebolire un avversario che sta diventando troppo scomodo.
Su una cosa probabilmente ha ragione Marcos, ed è quando dice che “il Messico si trasformerà in una pentola a pressione ed esploderà”. Egli prevede questo per il 2010, esattamente 100 anni dopo la rivoluzione messicana, ma potrebbe accadere anche prima.
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