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Paraguay, segnali di golpe?
Di Annalisa (del 29/12/2009 @ 16:26:45, in Paraguay, linkato 1137 volte)

Fernando Lugo e Federico Franco
Sono sempre più insistenti in Paraguay  le voci di un probabile colpo di Stato che dovrebbe attuarsi secondo le modalità di quello messo in atto il 28 giugno scorso in Honduras. Come si vocifera anche tra gli alti vertici dell’Osa (Organizzazione degli Stati Americani), preoccupati per la crescente tensione nel paese,   “nessuno pensa che in Paraguay ci sarà un golpe, ma tutti ne parlano”.
 
Fernando Lugo  ha denunciato che da quando ha assunto la presidenza, nell’aprile del 2008,  ci sono stati vari tentativi di destabilizzarlo messi in atto da esponenti del Partido Colorado che è stato al potere nel paese  per 60 anni e che è uscito sconfitto nelle ultime elezioni presidenziali.  “Dopo decenni di dominio assoluto di uno stesso gruppo politico, non deve sorprendere che fin dal principio di questo governo alcuni settori e personaggi abbiano avuto la tentazione di fermare  il processo politico” ha dichiarato Lugo, mentre per sgomberare il campo da sospette  alleanze tra politica e Forze Armate ne ha riformato tutti  i vertici appena un mese fa.
 
A dirigere il tentativo di golpe è  il vicepresidente Federico Franco, leader del Partido Liberal Radical Auténtico, che guida l’ala conservatrice e più reazionaria della coalizione in cui si trova anche Lugo (Alianza Patriótica para el Cambio).  Franco  ha in vaie occasioni accusato pubblicamente  il presidente  di essere un “traditore” e ha detto  di “essere pronto ad assumere la presidenza del paese”, nel caso Lugo venga  sottoposto a impeachment.
 
La svolta a sinistra presa dal governo dopo l’elezione del  “vescovo rosso”   gli ha fatto progressivamente perdere l’appoggio politico di cui godeva in Parlamento e che era stato  soltanto funzionale a liberare il paese da decenni  di dominazione del Partido Colorado. Alleati  strategici di Franco, in quest’opposizione che potrebbe scaturire, come avvenuto in Honduras  in un “golpe istituzionale”,  sono  il presidente del Senato Miguel Carrizosa e il politico ed ex generale  Lino Oviedo, controverso personaggio accusato di aver realizzato in passato due colpi di stato, massacri contro alcuni civili e l’omicidio di un vicepresidente, attualmente alla testa del partito di destra UNACE.
 
Come già avvenuto in Honduras, anche in Paraguay i settori più conservatori della società, rappresentati dai latifondisti, da una classe politica e dirigenziale corrotta e spesso legata al narcotraffico, dal settore imprenditoriale,  sono preoccupati per  la decisione del presidente Lugo di aderire all’Alba, l’Alternativa Bolivariana  per le Americhe.  Ma non solo. Sono tante le riforme che il governo sta cercando di realizzare con non poche difficoltà,  come rendere gratuite sanità ed educazione, attuare una Riforma Agraria, liberarsi progressivamente della presenza delle forze militari statunitensi e  programmare una riforma costituzionale che renda possibile la realizzazione in tempi brevi del progetto sociale riformista  in favore dei più deboli ed emarginati.
 
Gli Stati Uniti, dal canto loro non possono che  vedere con preoccupazione crescente il  nuovo scenario che si profila all’orizzonte: un paese strategicamente importante (anche per le immense risorse idriche di cui è ricco) come il Paraguay, nel cuore dell’America latina, che lentamente sfugge al loro controllo e che ha intenzione di “restare un paese sovrano” come ha dichiarato in una recente intervista il ministro degli Esteri Héctor Lacognata, che ha respinto la proposta statunitense  di inviare nel paese 500 soldati in cambio di 2,5 milioni di dollari da destinarsi per la  costruzione di infrastrutture e  per attrezzature e spese mediche per le comunità più isolate de paese, nell’ambito di un progetto di cooperazione che prende  il nome di Nuevos Horizontes 2010.
 
L’ambasciatrice statunitense  ad Asunción, Liliana Ayalde ha detto che si è trattato di  un “duro colpo” se si pensa che si sta parlando “dell’educazione di circa 600 bambini, di assistenza medica per  19mila persone delle  comunità povere  e  di assistenza odontoiatrica per altre  3600.”
 
Il Paraguay di Lugo, che aderisce all’Unasur, l’Unione delle Nazioni Sudamericane,   non può non far proprie  le inquietudini  dell’America latina integrazionista rispetto alla  crescente presenza militare degli Stati Uniti nella regione, testimoniata anche dal recente accordo statunitense con la Colombia per la costruzione di 7 nuove basi militari nel paese andino. La presenza di 500 militari americani è stata pertanto giudicata inopportuna da Palacio de López, la sede del governo ad Asunción e Lacognata ha tenuto a ribadire a coloro che lo accusano di essere portatore di posizioni estremamente ideologizzate,  che il suo ruolo è quello di mantenere l’autonomia di un paese  che deve restare sovrano. “Non possono venire medici civili a realizzare gli interventi? Non possono venire civili a costruire le scuole?” si chiede il ministro. “Quello che vogliono fare gli Stati Uniti nel nostro paese non è una politica sociale, nel migliore dei casi  è carità” ha detto. A voler essere buoni. Perchè quello che gli Stati Uniti vogliono fare in Paraguay è quello che fanno molto più sfacciatamente in paesi zerbino quali ad esempio la Colombia.
 
Si chiama tattica o strategia in una regione nella quale  trovano sempre minori spazi all’interno della sempre maggiore coesione e integrazione economica e politica, ma soprattutto strategica ( e in un prossimo futuro probabilmente anche militare) che si sta organizzando in America latina.
 
Salvo Colombia, Perú,e  in parte il Cile in America del Sud sembra veramente che il “cortile” non abbia più intenzione di rimanere  tale.
Segnali preoccupanti  fanno tuttavia pensare che  i “falchi”  del Nord  stiano riorganizzando forze e mezzi. Le fragili democrazie come quella del Paraguay farebbero bene a stringere alleanze più solide ma soprattutto a rafforzare gli appoggi interni, che come l’Honduras ha insegnato, non possono essere più soltanto quelli realizzabili  sul piano istituzionale e politico, con alleati dell’ultima ora inaffidabili e corrotti o corruttibili,   ma devono necessariamente partire da un ampio consenso della base e dei movimenti sociali del paese, dei movimenti indigeni e delle donne. Quelli che come è avvenuto in Honduras hanno anche, e non è solo enfasi, veramente dato la vita per il ritorno del loro presidente legittimamente eletto.